Il solare in Italia? Impossibile, o quasi: bisogna rincorrere i permessi

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“Un impianto solare a concentrazione in Italia? Figuriamoci, impiegherebbe anni per avere le licenze necessarie ed esser costruito. Aziende come le nostre non a caso lavorano meglio all’estero, qui sviluppiamo solo la tecnologia”. Letizia Magaldi, salernitana di 44 anni, studi in legge e master alla Bocconi, membro di SolarPaces dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, lo dice con amarezza. L’azienda che dirige, fondata dal nonno nel 1929, ha sede a Salerno ed è presente in cinquanta Paesi dall’Australia al Messico. Si occupa storicamente di tecnologie per la movimentazione di materiale ad alte temperature soprattutto nell’industria pesante con nastri trasportatori chiusi in modo che si eviti l’uso di acqua e il conseguente rilascio di gas nocivi. “Ma ormai da anni siamo impegnati anche nel fotovoltaico e abbiamo sviluppato un sistema per l’immagazzinamento dell’energia solare prodotta, uno dei punti deboli delle rinnovabili, che secondo noi è un bel passo in avanti”, continua lei. “Dubito però che lo costruiremo in Italia”.

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Prima di raccontare la nuova impresa della Magaldi Power, facciamo un salto indietro di qualche settimana. L’idea di partenza è arrivata da Takuro Kobashi, del National Institute for Environmental Studies, che in collegamento video dal Giappone si era messo a raccontare il progetto di SolaEv City. Ha calcolato la riduzione dell’impatto ambientale se sulle abitazioni venissero installati pannelli fotovoltaici. “Il risultato è promettente”, aveva spiegato, “si arriverebbe ad esempio a coprire due terzi del consumo energetico di centro urbano”. Ora la questione è che in realtà nei Paesi dove il sole abbonda quella percentuale potrebbe salire al 95% del fabbisogno di una città. E l’Italia, da questo punto di vista, è perfetta.

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LA PROCEDURA SEMPLIFICATA. Armati di buone intenzioni, convinti da avere dalla nostra anche gli ecobonus sull’edilizia, si potrebbe cadere nell’errore che sia venuto il momento di istallare sul proprio tetto dei pannelli. Peccato che non sia affatto così semplice. La procedura, detta “semplificata”, è complessa e cambia in base alla regione e al comune. Non c’è una regola fissa, le norme per di più cambiano di frequente e tanti possono mettere bocca e bloccare tutto. I centri storici poi sono del tutto tagliati fuori in virtù dei vincoli paesaggistici, ma anche in campagna la situazione non è delle migliori.

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UN IMPIANTO DOMESTICO. Se ad esempio si volesse installare un impianto fotovoltaico sul terreno della propria casa in campagna che magari si trova a poca distanza dalla costa, bisognerebbe chiedere il nulla osta perfino alla Capitaneria di porto. Non parliamo poi degli impianti più grandi. Si possono costruire unicamente su terreni industriali, che in genere sono costosi, e a fronte di una serie infinita di permessi che rendono l’operazione difficile se non impossibile. Tanto che il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, avendo capito la situazione ha promesso di intervenire.

“E’ vero, siamo in grande difficoltà sulle rinnovabili”, conferma Alberto Pinori di Anie Rinnovabili. E’ l’associazione di Confindustria che raggruppa le imprese operanti nel settore delle fonti rinnovabili, dai costruttori di tecnologie e di impianti, ai fornitori di servizi ed ai produttori di energia. “Sono due o tre anni che vediamo un approccio negativo. Soprattutto riguardo le soprintendenze che nella stragrande maggioranza dei casi bocciano i progetti. Ma in generale il numero di enti coinvolti che devono dare il consenso è davvero alto”.

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DETRAZIONI FISCALI E BUROCRAZIA. Da un lato abbiamo fonti rinnovabili che non sono competitive, specie l’idroelettrico e l’eolico che hanno bisogno di tariffe incentivanti. Mentre sul solare ci sono le detrazioni fiscali al 110% o al 50% sul residenziale, quindi sufficienti per promuovere una tecnologia del genere su villette e condomini, le policy con benefici all’autoconsumo per gli impianti di media taglia e lo sviluppo di impianti di grande taglia senza l’ausilio di alcun meccanismo incentivante. Per essere installati hanno quel percorso “semplificato” del quale si parlava prima, ammesso che si sia in una zona idonea. E le zone idonee cambiano da regione a regione e da comune a comune. Tanto che una stima di quante aree idonee ci siano in Italia è difficile da fare e diversi enti stanno bloccando gli iter autorizzativi perché vogliono prima definire tali aree con la nuova direttiva sulle fonti rinnovabili che dovrebbe entrare in vigore il prossimo 30 giugno.

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A parte i centri storici vincolati, dove sono vietati, dall’osservatorio Anie notano che comunque gli impianti vengono fatti ma ad un ritmo che non è compatibile con gli obiettivi stabiliti per il 2030 di 51 Gigawatt per il fotovoltaico contro i 21 di oggi. Mentre per l’eolico dovremmo passare da 10 a 19 Gigawatt. L’altra tecnologia sulla quale si punta sono i sistemi di accumulo di energia rinnovabile, le batterie in primo luogo, e anche qui dovremmo passare dai 7,5 Gigawatt a 17,5 Gigawatt. “In Italia si procede aggiungendo 500 Megawatt circa sul fotovoltaico all’anno”, continua Pinori. “Nel complesso siamo quattro volte sotto quel che dovremmo fare per arrivare alle cifre stabilite per il 2030. Almeno stando agli obiettivi del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) del 2019, presentato dal nostro Paese in Europa”. Con il Green New Deal europeo, gli obiettivi verranno perfino aumentati per velocizzare la decarbonizzazione. Insomma, siamo molto in ritardo.

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“Tutto il sistema è spesso in ritardo rispetto al mondo reale e influenzato da preconcetti e da mode”, insiste Giovanni Conte, avvocato specializzato nel campo dell’energia. “Le rinnovabili sono state via via criticate per ragioni differenti: l’idroelettrico depaupera i fiumi e ne rovina l’aspetto paesaggistico, gli impianti fotovoltaici sono brutti, sottraggono terreno all’agricoltura, sono brutti e uccidono gli uccelli, le biomasse sottraggono produzione agricola e costano troppo. A fronte di questo è sempre più difficile trovare un luogo dove realizzare un nuovo impianto e le richieste di autorizzazione sono spesso rigettate. Altro punto debole sono gli incentivi che vengono distribuiti dal Gestore dei servizi energetici (Gse è una società interamente controllata dal Ministero dell’economia e delle finanze, alla quale sono attribuiti numerosi incarichi di natura pubblicistica nel settore energetico, ndr.). Da anni tutta la materia degli incentivi è stata regolata ed amministrata con grande rigidità e in modo formalistico tanto da creare uno stato di incertezza che ha sviato gli investimenti su altri settori”.

A Takuro Kobashi, del National Institute for Environmental Studies, avevamo anticipato che in Italia il suo piano per quanto promettente sarebbe stato difficile da mettere in atto. Prima ancora di conoscere i dettagli della situazione era chiaro che qualcosa da noi, Paese che ha condizioni molto favorevoli per il solare, qualcosa non stava funzionando.

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L’azienda americana con radici in Israele, usa il calore raccolto da campi di specchi per creare vapore ad alta temperatura e far girare le turbine che producono elettricità. Il sistema è quello a concentrazione solare, noto in inglese come Concentrating Solar Power. L’azienda sta costruendo, in collaborazione con la General Electric, un sito nel deserto del Nagev a 130 chilometri a sud di Gerusalemme. La torre centrale è alta 250 metri e l’intero impianto è capace alimentare 100 mila abitazioni

“Andrebbe fatta una legge speciale per individuare delle aree per le rinnovabili, così come si fanno dei parchi naturali per tutelare l’ambiente dovremmo avere dei parchi energetici che servono proprio l’ambiante”, conclude Letizia Magaldi. La sua azienda intanto continua a lavorare sugli impianti solari a concentrazione, o meglio su un sistema per conservare l’energia prodotta durante il giorno grazie ad una tecnologia che permette di usare un letto fluido di sabbia per immagazzinarla. Trasforma in energia termica quanto prodotto quando c’è il sole da usare poi durante la notte. E avrebbe vantaggi sensibili rispetto alla tecnica dei sali liquidi sfruttata ad esempio dall’israeliana BrightSource. Ma è probabule che la prima centrale simile non verrà costruita in Italia, almeno finché il Paese resterà così allergico alle rinnovabili.

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