Il sommelier-imprenditore: “Nessuno vuole fare la gavetta, così i ristoranti non hanno futuro”

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Il sommelier-imprenditore: “Tornare alla gavetta se la ristorazione vuole avere futuro”

“Di recente sono andato in un bar: un centinaio di persone sedute all’aperto e una sola ragazza in sala. “Non facciamo servizio al tavolo, se vuoi, vieni tu a prendere l’ordine al bancone e te lo porti dove trovi posto a sedere”, mi ha detto. Non avevano personale e non riuscivano a stare dietro alla folla di clienti di agosto. E così ho fatto tre viaggi e ho portato da bere io stesso per me e per i miei amici. Cosa non sta funzionando? Il problema è la gavetta, che non esiste più: non appartiene ai giovani in questo momento storico. Se non si tornerà a mettersi in gioco per imparare un mestiere, la ristorazione non ha futuro”. A parlare e raccontare al Gusto la sua esperienza in un bar di Amantea (Cosenza) è Michele Ruperto, miglior sommelier di Calabria e imprenditore nel settore enogastronomico col suo e-commerce di successo “Calabria Gourmet”, attraverso il quale veicola in Italia e nel mondo le specialità della sua regione. Ruperto, 39 anni, da ragazzo ha lavorato come sommelier nell’alta ristorazione in locali di pregio e ristoranti stellati come Il Pagliaccio a Roma, per citarne uno. Ma dopo dieci anni di turni massacranti ha cambiato vita ed è passato dall’altro lato della “barricata”: si è inventato un progetto ed è diventato un imprenditore.  

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“La gavetta non appartiene più ai giovani. Si è rotto l’incantesimo, o meglio quell’incastro “intellettuale” e quella convergenza di interessi che c’erano una volta tra chi voleva lavorare in sala e/o cucina e il ristoratore che doveva assumere. Una volta, alle prime armi, si accettava di guadagnare poco perchè in cambio oltre ai soldi s’imparava un mestiere, oggi di conoscere un mestiere non interessa più a nessuno: il lavoro è lavoro e va pagato bene. Dal punto di vista del ristoratore, il punto debole sta nella mancanza di esperienza: chi assume non si sbilancia perché la maggior parte dei candidati ha curriculum carenti e chi vuole lavorare non se la sente di farlo a certi ritmi. Lo vedo in tanti posti, qui in Calabria ma non solo, molti amici e colleghi, soprattutto gestori di locali mi chiamano ogni giorno, si lamentano e mi chiedono: Miche’, hai qualcuno da mandarmi, da segnalarmi? Ma non si trova nessuno. E ci sono bar in cui vedi fisso il cartello “cercasi personale” come quello che dice “vietato fumare”. Ormai è così”. E questo per il giovane imprenditore dipende anche dai sacrifici eccessivi che vengono richiesti nel settore a fronte, oltretutto, di stipendi irrisori.

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“I ventenni e trentenni di oggi, che dovrebbero avere in mano il futuro della sala e del settore, sono stressati dai problemi del lavoro – riflette Ruperto – E poi non c’è più disciplina né rispetto delle gerarchie. La conseguenza è la mancanza di personale qualificato: a volte, i ristoratori mi raccontano che nei loro locali si propongono aspiranti cuochi e camerieri che raccontano di saper fare tante cose, mostrando profili sui social ricchi di foto interessanti, poi però alla prova pratica crolla il castello. “C’è gente che si presenta come esperta e poi non sa tenere sue cocktail in mano”, mi dicono. La ristorazione non ha futuro così”.

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Ruperto di gavetta ne ha fatta molta. Lo racconta lui stesso in un post sui social: “Estate 1999: la mia prima stagione presso l’allora 5 stelle lusso San Michele di Cetraro (CS). Ho pulito pavimenti, lucidato posate d’argento, stirato il tovagliato, asciugato bicchieri, notte e giorno, occupandomi di tutto quello che c’è dietro al servizio in sala. Preparavo l’artiglieria ma non ero io a scendere in campo per combattere. Avvicinarmi al tavolo dei clienti non mi era concesso, potevo solo guardare. Solo alla fine della stagione, posizione meritata sul campo, sono riuscito ad avere il mio posto in sala per servire acqua e pane. E oggi? Oggi sono tutti grandi esperti di comunicazione, di vino e di servizio in sala, senza mai aver messo piede in una sala che conta. Basta fare un corso e sali sull’olimpo, chi se ne frega se hai esperienza. Metterei tanti pseudo-sommelier sul campo, ne vedremmo di gambe tremare! La cucina non è da meno, giovanissimi, se pur talentuosi, che si autodefiniscono chef senza esser partiti dal basso, senza mai aver lavorato con la mansione di commis. Il rispetto della gerarchia, oggi poco considerato e ridotto in briciole”. 

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Ma il nodo da sciogliere nel dibattito sulla crisi del personale è anche e soprattutto legato agli stipendi, spesso non adeguati. “È vero, si è passati da un eccesso a un altro – riflette Ruperto – Qui in Calabria a volte offrono 6-700 euro al mese per un lavoro che prevede turni quotidiani nei locali dalle 17 a chiusura, che vuol dire le 2 o le 3: insostenibile. Ma lo è anche per i datori di lavoro che si trovano a pagare in tasse il doppio dello stipendio del singolo. Lo Stato in questo senso deve intervenire ed aiutare i ristoratori. La ristorazione è fatta di uomini e donne, senza non può esistere. Maggiore sarà l’assenza di qualità umana sul campo maggiori saranno le probabilità che la ristorazione diventi, tra qualche anno, un ricordo di un tempo passato. Ripenso a quel bar che rinuncia al servizio al tavolo: tristissimo. E temo che se le cose non cambieranno, questo sarà il futuro”.

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