Il valzer delle poltrone nella Rai monocolore. In arrivo Barbareschi

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ROMA – A chi la Rai? A noi! A dispetto di qualche scricchiolio sul fianco destro, la macchina per accendere Tele-Meloni viaggia ormai a pieni giri. Pronta alla grande imbarcata di patrioti: direttori e conduttori di provata fede chiamati a rimpiazzarne altrettanti considerati vicini alla sinistra. L’ultimo acquisto è Luca Barbareschi: l’attore, produttore, nonché ex parlamentare del Pdl finiano, approderà a ottobre su Rai3 – la rete che più d’ogni altra si vuol liberare dal Pd – con un programma tutto suo. Due puntate in seconda serata, per adesso: test per un format su misura l’anno prossimo. Rentrée che neppure le dichiarazioni sessiste sulle donne di spettacolo che “non vengono molestate, cercano solo pubblicità” potrà fermare.

Lunedì si insedierà il nuovo ad Roberto Sergio, insieme a Giampaolo Rossi direttore generale. Quindi, al Cda già fissato per giovedì, si aprirà il valzer delle poltrone. Partendo dalle direzioni di genere, le più urgenti perché è lì che si costruiscono i palinsesti, ai quali dare subito una sterzata sovranista. Al netto delle tensioni fra alleati, il quadro che va delineandosi raffigura un’occupazione quasi militare della Rai. Agli Approfondimenti che sovrintendono i talk andrà Paolo Corsini, fratellino doc e vice del pensionando Antonio Di Bella che ne ha perorato la causa, ottenendo per sé una serie di documentari.

Stesso film al Day Time, dove dovrebbe salire Angelo Mellone – altro destro-destro – al posto di Simona Sala, che grazie ai buoni uffici del M5S potrebbe traslocare a Radio2 liberata da Paola Marchesini, che guiderà lo staff del neo-ad. E non è nemmeno l’unica garanzia offerta ai grillini in cambio del loro via libera al nuovo corso meloniano: Giuseppe Conte ha strappato a FdI la promessa di restituire un notiziario a Giuseppe Carboni, che dovrebbe prendere RaiParlamento; di spostare Claudia Mazzola al vertice della Comunicazione; di far tornare in video Luisella Costamagna. Un gioco di sponda tra la maggioranza e un pezzo di opposizione che ha consentito di piegare ogni resistenza intorno al nome di Gian Marco Chiocci, buon amico della premier ma anche del precedessore giallorosso, ora in pole per guidare il Tg1.

All’Intrattenimento Prime Time, che si occupa della fascia più pregiata per ascolti e pubblicità, oltre che di Sanremo, la Lega s’è invece assicurato Marcello Ciannamea. Postazione strategica che tuttavia non basta a soddisfare gli appetiti di Salvini. Il quale è riuscito a conquistare pure RaiSport per Angela Mariella e a mantenere la TgR, storico fortino lumbàrd. Che resterà tale anche quando fra un anno il direttore Alessandro Casarin andrà in pensione: l’accordo è promuovere il vice Roberto Pacchetti, che del Carroccio è sempre espressione. Quanto alle testate principali, Nicola Rao – rampelliano sloggiato dal Tg1 senza poter rientrare al Tg2 dove FI desidera piazzare Antonio Preziosi – ha rifiutato Radio1 e andrebbe alle Relazioni istituzionali. Al Tg3 resterà Mario Orfeo in quota Pd, così come a Rainews il meloniano Paolo Petrecca.

Per i dem la conferma che la destra intende imporre “un monocolore nell’azienda culturale e informativa più importante del Paese”. E perciò decisi a dare battaglia con interrogazioni ed esposti in Vigilanza su direttori e conduttori esterni, dei quali chiedere stipendi e costi. Provando a dividere la maggioranza sul contratto di servizio chiamato a stabilire cosa fare del canone, che Salvini vuole abolire contro il parere degli alleati. In nome della salvaguardia del pluralismo che ieri ha visto sulle barricate Pd, Avs e 5S in difesa di Report, il programma d’inchiesta a rischio soppressione.

E mentre l’ex ad Carlo Fuortes annuncia il suo no al San Carlo, “non ci sono le condizioni”, in Viale Mazzini impazza il ballo del riposizionamento. Basta leggere il tweet di Massimo Bernardini, storico anchor di Tv Talk, per il quale la tutela dell’etnia italiana propugnata dal ministro Lollobrigida è “un’idea da rispettare”. Del resto il figlio Francesco è stato appena assunto al dicastero della Cultura. Quando si tratta di famiglia, FdI non si fa pregare. Fuori e dentro la Rai: di tutto, di più.

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