In Colombia quattro morti a settimana in difesa dell’ambiente

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Quattro morti ogni settimana, 65 vittime nel 2020, 32 già quest’anno. La Colombia si conferma il Paese più pericoloso al mondo per chi difende l’equilibrio della natura. E questo appare ancora più evidente se si considera che quello andino è il Paese con la più vasta biodiversità del Pianeta.

Mondo

I Paesi dove si muore per l’ambiente

I dati sono forniti nel suo ultimo rapporto dall’organizzazione ecologista Global Witness che ricorda come l’anno scorso hanno perso la vita 227 persone, un numero in crescita rispetto ai 212 del 2019. Messico e Filippine seguono a ruota la Colombia in questa classifica della morte. La difesa dell’equilibrio ambientale è quasi sempre affidata a chi vive a contatto con la natura, ci campa e ci mangia. Gli indigeni delle diverse tribù che vivono ai margini e dentro le foreste che costeggiano l’Amazzonia pagano il prezzo più alto, assieme a chi li sostiene, come i leader contadini e gli attivisti sociali.

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Lottano non solo per difendere le terre dai progetti industriali, spesso faraonici, con dighe, barriere, centrali idroelettriche a forte impatto ambientale, ma dagli scavi nel sottosuolo per sfruttare le materie prime tanto richieste dai Paesi asiatici che a loro volta non smettono di alimentare le loro fabbriche con il carbone, il gas e il petrolio.

Chi rischia la vita in Colombia sono anche tutti quegli uomini e donne che con le loro battaglie e la loro presenza a guardia di territori protetti e ancora verdi danno fastidio ai cartelli e alle gang del narcotraffico. Il confronto è impari. I leader contadini e i rappresentanti delle comunità rurali vivono in zone abbandonate dallo Stato. Sono difficili da raggiungere, non hanno facili accessi e strade di comunicazione. La Colombia ospita la metà delle specie animali e vegetali presenti sul mondo e il 30% del suo territorio è coperto dalla giungla. Ma è anche uno snodo per la coltivazione, la produzione e il commercio di cocaina. Fa gola a chi sulle foglie di coca incassa miliardi.

I protagonisti

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I cartelli messicani sono scesi verso il sud, con i loro eserciti, e al posto di attendere i carichi a casa per portarli poi negli Usa e in Europa, con continui accordi sui prezzi e la gestione dei contatti, preferiscono inserirsi nei territori e diventare padroni di tutta la filiera. Questo significa violenza, scontri, omicidi, stragi, battaglie che coinvolgono intere popolazioni costrette a fuggire, a lasciare case e lavori, terreni e invadere altre zone dove faticano a inserirsi per l’opposizione di chi già le abita. Il governo di Ivan Duque è perfettamente consapevole della situazione, soprattutto nel Cauca, regione del sud-ovest a maggioranza indigena, e corridoio strategico per il flusso di coca verso nord. Si è impegnato a contenere la violenza esplosa da anni in quella zona ma ha fallito.

Non c’è solo la droga. Chi controlla un territorio estorce tasse abusive per il passaggio, per la difesa che non svolge la polizia, per la corruzione, per imporre divieti e limiti alla circolazione, trafficare in esseri umani, in armi, in petrolio, in oro estratto dalla miniere illegali. “C’è un chiaro vincolo tra la violenza armata e il modello di sviluppo economico”, osservava al Paìs nel febbraio scorso l’ambientalista Francia Marquez che si è candidata per le presidenziali del 2022. “Questo fa che la Colombia sia il Paese con il più alto numero di leader ambientalisti assassinati. Non c’è possibilità di ottenere giustizia e quando cerchiamo di farlo è lenta e inefficace”.

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