Inghilterra, i sondaggi affondano la Superlega. Boris Johnson: “Non permetterò questo orrore”

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LONDRA – Il primo sondaggio britannico boccia il progetto Superlega. È quasi un plebiscito contro lo strappo di 12 club ribelli europei, di cui sei inglesi (Manchester City, United, Arsenal, Chelsea, Tottenham e Liverpool) per creare un nuovo campionato esclusivo, stile Nba. E contrari sembrano essere anche gli stessi tifosi delle squadre “secessioniste”.

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Dai sondaggi una valanga di No alla Superlega

Secondo la rilevazione dell’istituto YouGov effettuata nelle ultime ore su oltre 1730 britannici, il 68% degli appassionati di calcio in generale respinge con decisione l’idea di una Superlega di calcio, all’11% non convince, mentre sono soltanto il 4% quelli che sono totalmente d’accordo con il progetto e il 10% coloro che lo sono parzialmente. Il 6% invece non ha un’opinione. Le percentuali si alzano notevolmente se si prende il campione di tifosi di squadre non coinvolte nella Superlega europea: il 79% è fermamente contrario, al 9% non convince, il 7% non sa, ma soprattutto solo il 2% sostiene la proposta, e un altro 3% in maniera parziale.

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La vera sorpresa, però, arriva dai dati dei tifosi britannici intervistati che sostengono invece una delle sei squadre ribelli della Premier League che hanno sposato la nuova controversa creatura calcistica. Tra questi, nonostante la prospettiva di uno straordinario campionato a parte composto solo da big e fenomeni, ben il 64% dei fan è decisamente contrario alla SuperLega e il 12% non ne è affatto convinto. E se il 5% non sa, a sostenere il progetto sono solo il 7% dei fan delle “big six” in maniera convinta, e un 13% in maniera più misurata.

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Johnson ribadisce: “Non permetterò questo orrore”

Oggi Boris Johnson è tornato a tuonare contro la SuperLega. In un editoriale sul Sun, il primo ministro ha spiegato perché non permetterà mai la sua creazione, anche perché la Premier League è un marchio ricchissimo e fondamentale della sua “Global Britain” del post Brexit. “Non c’è bisogno di essere un esperto per non provare orrore per un progetto simile, gestito da un piccolo numero di club. Il calcio non è un marchio o un prodotto. Anzi, è molto di più di uno sport. Le squadre di calcio sono una base fondamentale per la nostra società, di generazione in generazione, e potrà continuare a esserlo solo se le regole sono uguali per tutti e se il merito resta universale. La Superlega non permette questo, non avrebbe mai permesso favole come quella del Leicester o quella del Nottingham Forest due volte vincitore della Coppa Campioni. Ecco i motivi del mio “cartellino rosso” alla SuperLega”.

La questione tocca un nervo dolente britannico, e cioè l’orgoglio nazionale di un Paese eternamente tradizionalista, dal cibo allo sport. Il calcio qui, oltre che vanto, è storica espressione dell’egualitarismo contro il celato classismo di parte della società inglese. Non a caso, solo in Inghilterra le coppe nazionali (FA Cup e coppa di lega) fanno sfidare i colossi della Premier League e squadrette di quinta-sesta categoria, alle periferie dell’impero calcistico. E non a caso, quest’anno, il massimo campionato inglese è stato l’unico in Europa a non permettere cinque sostituzioni invece di tre, proprio per proteggere i club minori con organici ridotti, scatenando la furia dei big.

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Il calcio e il rugby unici legami tra generazioni

Certo, oltre all’idealismo, c’è anche la cruda realtà. La Premier League negli ultimi due decenni è diventata una gigantesca macchina di soldi e spettacolo (circa 7 miliardi di euro di fatturato all’anno) proprio perché i governi hanno accolto col tappeto rosso gli investimenti dei paperoni stranieri, dallo sceicco Mansour del City a Roman Abramovich del Chelsea, che hanno pompato miliardi nel sistema rivalutando club in declino e che ora, dopo quasi cinque miliardi di perdite complessive causa Covid, pretendono di fare ciò che gli pare. C’è poi una “American connection” da non sottovalutare: le dirigenze di Manchester United (famiglia Glazer), Liverpool (l’imprenditore John Henry) e Arsenal (famiglia Kroenke) sono tutte statunitensi. Dietro al progetto Superlega ci sono sei miliardi dalla banca americana Jp Morgan. E il modello è quello della Nba di basket.

Insomma, un’altra “Special relationship” Usa-Uk, anche nel calcio. Ma stavolta sarà dura per i grandi club. Come nel film di Ken Loach “Il mio amico Eric”, con l’ex star dello United Cantona, il calcio in Inghilterra è qualcosa di molto di più di un business, e fa niente che le azioni dei club ribelli sono schizzate ieri in Borsa. Qui il calcio è comunità, tradizione e soprattutto, insieme al rugby, l’unico vero legame rimasto tra generazioni. 

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