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Inquinamento, effetto-sorpresa e popolazione anziana: ecco i fattori che hanno alzato la mortalità del Covid

MILANO – Perché nel 2020 il Covid ha fatto uno o due morti ogni centomila abitanti in Corea del Sud o Nuova Zelanda, mentre in Belgio siamo arrivati a quota 171 e in Italia si veleggia ampiamente sopra i 120? Eppure sono tutti Paesi “avanzati”, economie e sistemi consolidati pur nelle loro specificità. Le ragioni di queste differenze sono molteplici. Il fattore “tempo” ha giocato la sua parte in questa amara classifica, penalizzando maggiormente i Paesi che sono stati colpiti dal virus prima; anche la struttura demografica della popolazione è una variabile di rilievo, così come l’inquinamento atmosferico. Dai dati non sembrano invece esserci correlazioni rilevanti rispetto al livello della spesa pubblica per la sanità nel periodo pre-Covid, forse perché paesi ad alta spesa non erano comunque preparati alla sorpresa di una pandemia. E, in ogni caso, ciò non mette in discussione l’invito a un aumento della spesa sanitaria pubblica nel nostro paese, visto il basso livello raggiunto nel corso dell’ultimo decennio.

Lo studio integrale:

Perché il COVID-19 ha colpito i paesi in modo diverso?

L’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica, guidato da Carlo Cottarelli (autore dello studio con Federica Paudice), ha cercato di vederci chiaro nelle correlazioni tra caratteristiche socio-economiche delle popolazioni e incidenza della mortalità del virus. Puntando in primo luogo la lente sulla letteratura che ha studiato quali variabili hanno determinato il diverso grado di severità della pandemia tra aree geografiche differenti.

L’analisi degli studi su Covid e popolazione

Nella maggior parte dei sedici studi passati in rassegna emerge con chiarezza una relazione tra anzianità della popolazione e severità del virus, così come ci sono evidenze di un nesso tra fatalità e presenza di patologie cardiovascolari/respiratorie e di cancro, mentre i risultati sono contrastanti circa il ruolo di altri fattori di rischio (quali obesità e fumo).

Una correlazione per certi versi sorprendente emerge – “nonostante le incertezze sulla misurazione del fenomeno”, annotano dall’Osservatorio – tra il reddito pro-capite e la severità della pandemia. A differenza di quanto ci si potesse aspettare, infatti, il Covid sembra aver colpito più duramente i paesi avanzati, con perdite umane minori per aree a reddito basso, come l’Africa. Questa osservazione, però, si potrebbe anche fondare con la minore età della popolazione nei Paesi a basso reddito e la maggiore trasparenza del tracciamento e della raccolta dei dati nei Paesi più avanzati.

Tra i nessi che emergono con vigore, dall’insieme degli studi analizzati c’è quello tra inquinamento e severità della pandemia: “Esiste – dice l’Osservatorio – ed è robusto”. Altra sorpresa, invece, si trova quando si va ad analizzare l’equilibrio tra risorse impiegate nei sistemi sanitari e impatto del Covid. Da una parte, infatti, la disponibilità di risorse umane (medici e infermieri) e di letti sembra aver avuto un ruolo nel ridurre la fatalità del virus (cioè il rapporto tra decessi e contagiati), ma non la mortalità (decessi per popolazione). Sorprendentemente, dettagliano dall’Osservatorio, nessun lavoro trova un legame negativo tra spesa sanitaria prima della pandemia e tasso di fatalità del virus. Al contrario, tre studi riscontrano un legame positivo. Ma anche su questo dato bisogna ragionare ulteriormente: i Paesi ad alto reddito hanno tipicamente un livello di spesa sanitaria elevata e una maggiore anzianità della popolazione, con quest’ultimo fattore che li espone a una più elevata mortalità. Anche in questo caso, poi, una possibile spiegazione è la maggiore capacità di tracciamento dei decessi nei paesi con maggiore spesa sanitaria.

L’analisi sui Paesi avanzati: ecco come cambia la mortalità

Detto quel che si è osservato in letteratura, l’analisi dell’Osservatorio si è quindi mossa in proprio solo sui Paesi avanzati (ad alto reddito) dell’area Ocse: sono 31. E sul numero di decessi medi giornalieri in questi registrati, nel corso di tutto il 2020.

Per verificare quali variabili hanno avuto impatto sulla diversa gravità della pandemia, sono stati presi in considerazione: Indice di sviluppo umano (per l’aspetto socio-economico), inquinamento (variabile ambientale), spesa pubblica pro capite destinata alla sanità (per la capacità sanitaria), popolazione rurale e densità abitativa (per evidenziare fattori che possono incrementare i contagi), “effetto sorpresa” (misurato come il giorno dell’anno dal primo gennaio in cui il paese ha superato la soglia dei 100 casi cumulati: minore è il tempo trascorso, maggiore sarà l’effetto sorpresa. Serve per dar conto della dinamica temporale con cui si è manifestato il virus e del fatto che i Paesi colpiti prima dalla pandemia si sono trovati impreparati), variabile Asia (per dar conto di culture a ridotto contatto e uso diffuso della mascherina).

Applicando questi filtri alla popolazione anziana (over 60 o 65 a seconda delle classificazioni nei Paesi), l’Osservatorio ha via via selezionato le variabili rilevanti nel modificare il quadro dei decessi gironalieri. E ha concluso che quelle significative nello spiegare i decessi giornalieri sono l’inquinamento con segno positivo, l’effetto sorpresa con segno negativo (quindi maggiore è stata la sorpresa, più alto il numero di decessi) e la variabile “Asia” con segno negativo.

Rispetto alla letteratura si conferma il fatto che tra le variabili non significative ci sia la spesa pubblica in sanità. In effetti, paesi come Lettonia, Grecia, Lituania, Estonia, pur avendo una spesa sanitaria pubblica pro capite bassa, hanno registrato un numero di decessi contenuto. Per contro, Stati Uniti, Belgio, Francia e Regno Unito con un’alta spesa sanitaria hanno registrato un elevato numero di decessi.

Questa dinamica, argomenta lo studio, suggerisce che la spesa sanitaria pre-Covid non fosse mirata a ridurre gli effetti di una possibile pandemia, che in effetti ha colto tutti di sorpresa. I paesi avanzati, forse a differenza dei paesi meno sviluppati, negli anni scorsi, non avrebbero investito risorse nei settori sanitari che potevano offrire un vantaggio nella lotta contro le malattie infettive, destinando invece più risorse al contrasto di malattie più comuni (tumori, malattie cardiocircolatorie, diabete).

Risultati confrontabili sono stati verificati anche una volta spostata la lente sulla popolazione più giovane, pur nell’ambito di una mortalità decisamente inferiore.

A questo punto, si può rispondere alla domanda: cosa ci dice il modello sull’impatto delle variabili esplicative sui decessi? Per farlo, l’Osservatorio indica un Paese con caratteristiche intermedie come la Danimarca che presenta un effetto sorpresa di 70 (a fronte di una media campionaria di 69,32), un livello di inquinamento pari al 56,91 per cento (a fronte di un inquinamento medio del 56,22 per cento) e una quota di anziani del 25,06 per cento della popolazione totale (a fronte di una media del 23,7 per cento).

In queste condizioni, indica l’Osservatorio, un aumento dell’1 per cento della quota di popolazione esposta ad una soglia di inquinamento superiore allo standard indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità, comporta un aumento dei decessi dell’1,6 per cento. Un anticipo di 1 giorno nell’effetto sorpresa comporta un aumento dei decessi del 6 per cento.

Questo effetto sembra particolarmente forte ma occorre considerare che nella prima fase della pandemia il virus colse impreparate le strutture mediche e la mortalità fu particolarmente alta, rispetto ai contagi, nei paesi colpiti per primi. Per esempio, in Italia, tra i primi paesi colpiti, la metà dei decessi annuali si verificò nella prima fase (entro maggio), mentre un paese come il Portogallo, che appare con un ritardo di circa due settimane nella variabile sorpresa e con un numero di decessi complessivamente pari alla metà di quello italiano, solo il 20 per cento dei decessi si è verificato entro maggio. In altri termini, i paesi colpiti prima hanno accumulato un pesante divario in termini di decessi proprio nella prima fase della crisi. Aumentando dell’1 per cento la quota della popolazione anziana, infine, i decessi stimati aumentano dello 0,5 per cento.

Il peso delle risposte alla crisi

Lo studio elaborato dall’Osservatorio permette anche di dare una indicazione su come le risposte alla pandemia dei singoli governi abbiano inciso sulla mortalità del Covid. Per farlo, si calcola la differenza tra decessi stimati in base al modello e decessi effettivi. La differenza può riflettere, tra gli altri fattori, i diversi approcci di gestione della crisi sanitaria che il modello non osserva perché difficilmente misurabili, quali l’efficacia della spesa sanitaria o le misure restrittive (grado di lockodown e loro tempestività) imposte.

Ne emergono valori particolarmente alti (più decessi del previsto rispetto ai decessi effettivi in rapporto ai decessi effettivi) per Stati Uniti, Irlanda e Svezia. Per Nuova Zelanda, Australia e Germania invece si osservano valori particolarmente bassi. Anche l’Italia ha avuto un numero di decessi basso rispetto alle previsioni del modello. Una fotografia che non a caso penalizza coloro (come Stati Uniti, Svezia e Regno Unito) che hanno tardato nell’applicazione delle misure o, addirittura, hanno inizialmente negato la rilevanza del problema.





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