Inter campione d’Italia, i gol della cavalcata scudetto

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I tifosi dell’Inter lo ricorderanno in maniera particolare questo scudetto. Perché tutte le vittorie sono belle e restano nel cuore, ma questa un po’ di più: perché spezza la serie della Juventus che era a un passo dall’incredibile decennio di campionati vinti; perché a dicembre tutto nella stagione nerazzurra sembrava da buttare via; perché dopo i fasti del Triplete del 2010, l’ultimo trofeo piazzato in bacheca risaliva al 29 maggio 2011, la Coppa Italia vinta contro il Palermo che quell’anno chiuse ottavo in campionato e adesso è in Serie C. Per dare l’idea di quanta acqua è passata sotto i ponti dall’ultima volta che in casa nerazzurra si è festeggiato qualcosa. Ripercorriamo le tappe salienti della stagione. 

L’Inter e il 19° scudetto vinto nell’anno più difficile

L’inizio pirotecnico 

Dopo l’agosto burrascoso con gli attacchi di Conte alla dirigenza e la ricomposizione dei dissidi con Zhang e Marotta, la stagione nerazzurra comincia all’insegna dei gol: quelli fatti (9) ma anche quelli subiti (5) nelle prime due partite di campionato.

Conte, Zhang, Lukaku: cosa facevano nel 2010 i protagonisti dello scudetto dell’Inter?

Sprazzi di pazza Inter contro la Fiorentina, quando la squadra rimonta da 2-3 a 4-3 negli ultimi tre minuti; poi due reti concesse al neopromosso Benevento, in un match comunque dominato. Ma Conte non sembra curarsene, anzi: ai microfoni spiega più volte che lui si diverte a vedere questa squadra arrembante. “L’obiettivo è segnare un gol in più degli avversari”, Antonio dixit. Il trend prosegue per altri due mesi, dentro cui ci sono sia il dolce 4-2 al Torino che i più amari 2-2 col già semi-disastrato Parma e con il Borussia Monchengladbach all’esordio in Champions. Preludio di una campagna europea che si rivelerà disastrosa ma che segnerà anche l’avvio della caccia allo scudetto. 

La svolta di Reggio Emilia 

La doppia sconfitta contro il Real Madrid fa cambiare idea a Conte, che non si diverte più a vedere i suoi pronti a darle ma anche ad accettare di prenderle: accantonate le velleità di 3-4-1-2, dalla trasferta col Sassuolo l’ex ct torna in pianta stabile al 3-5-2 che tante gioie gli aveva regalato tra Juventus, Nazionale e Chelsea. Al Mapei Stadium l’Inter fa un figurone: 3-0 senza appelli. Siamo alla nona giornata ma è solo la seconda volta che in campionato Handanovic mantiene la porta inviolata. I nerazzurri salgono al terzo posto in classifica, e da questo momento non scendono più dal podio, costruendo giorno per giorno la scalata al primo posto. 

L’addio all’Europa e la corsa al Milan 

Il 7 dicembre è sant’Ambrogio, il patrono di Milano. L’8 si festeggia l’Immacolata concezione della Madunina. Il 9 arriva a San Siro lo Shakhtar: è l’ultima chiamata del treno Champions, ma l’Inter non risponde all’appello. Finisce 0-0 e i nerazzurri chiudono quarti nel girone: fuori anche dall’Europa League. Chi pensa che il contraccolpo psicologico nell’ambiente sarà tremendo non conosce Conte e la sua specializzazione nei campionati – mentre in Europa serve ancora qualche ripetizione: da qui a fine anno arrivano quattro vittorie su quattro, la più prestigiosa delle quali è l’1-0 al Napoli firmato Lukaku che significa sorpasso al secondo posto dietro il Milan capolista. 

La prima gioia contro la Juve 

Dopo la sosta natalizia il margine dai cugini rossoneri è di appena un punto, ma la squadra di Conte incappa in un doppio passo falso contro Sampdoria (sconfitta per 2-1) e Roma (2-2) che aumenta a tre le distanze dal Milan e concede alla Juventus di riavvicinarsi. Al derby d’Italia si arriva con i bianconeri a -1, ma a San Siro è il trionfo di Conte: il 2-0 finale (Vidal, Barella) non esprime appieno l’andamento della gara, in cui l’allievo Pirlo perde nettamente la sfida con il maestro Antonio. Il manifesto del derby d’Italia stravinto sono le continue scorribande di Hakimi e gli inserimenti letali di Vidal e Barella. Il 17 gennaio 2021 diventa una data da segnare nel calendario contiano: è il giorno della prima vittoria in carriera contro la squadra di cui è stato condottiero in campo prima e in panchina poi, e con cui si era lasciato malissimo. 

Un san Valentino indimenticabile 

È il 14 febbraio: il giorno prima la Juve ha perso a Napoli e il Milan a La Spezia. L’occasione è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire: nel posticipo domenicale l’Inter si sbarazza della Lazio (3-1) e si prende per la prima volta la testa solitaria della classifica. Dopo i mugugni seguiti all’eliminazione dalla Champions, dopo l’amarezza per essere stati buttati fuori anche dalla Coppa Italia dai nemici storici con la maglia bianconera, scoppia di nuovo l’amore tra il popolo nerazzurro e Conte.  

Il dominio nel derby di ritorno 

Passano appena sette giorni e arriva il derby di ritorno: c’è da vendicare la sconfitta per 2-1 dell’andata, Lautaro e Lukaku in giornata di grazia rispediscono il Diavolo all’inferno e il 3-0 ai cugini pesa come un macigno sulla lotta scudetto. È la prima vera fuga: +3 sul Milan, +4 sulla Juventus. Un margine destinato ad allungarsi inesorabilmente, perché da questo momento l’Inter non sbaglia un colpo per due mesi. 

Nel segno di Darmian

Cambiano le stagioni, non i risultati: l’inverno lascia spazio alla primavera ma Conte continua a vincere. Sette vittorie su sette dopo il derby, 21 punti spesso sudati, vittorie di misura e poco spettacolari. Ma il diktat dell’allenatore salentino è chiarissimo: “Conta solo vincere, per l’estetica andremo in un centro a fare un lifting”. Che Conte sia riuscito a plasmare una squadra ormai a sua immagine e somiglianza lo dimostra il fatto che nel momento del bisogno tutti contribuiscono alla causa: non solo la coppia LuLa, ma anche Sanchez (doppietta a Parma), Skriniar (gol all’Atalanta) e soprattutto Darmian. L’uomo che non ti aspetti e che sblocca due match complicati, contro Cagliari e Verona, praticamente allo stesso minuto (76′ e 77′) e con la stessa dinamica, su assist dell’altro esterno Hakimi. Come ai bei tempi della Juventus, come quando l’eroe dei gol pesanti era Giaccherini, pupillo di Conte che di lui disse: “Se si chiamasse Giaccherinho, sarebbe molto più considerato”. Una cosa che sarebbe pronto a dire anche di Mateo Darmiao, pardon, Matteo Darmian. La vittoria a Crotone con Eriksen e Hakimi è l’ultimo atto: nello spogliatoio la squadra già festeggia, sa che è fatta.

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