Intervista al giudice Martello: “Dagli operai ai rider, così sono cambiate le cause al tribunale del Lavoro”

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Da dietro la sua scrivania ha visto una città trasformarsi. All’inizio c’erano da giudicare le lotte degli operai e del sindacato, figlie di una metropoli industriale. Alla fine, nell’epoca segnata dalla terziarizzazione e dalla precarizzazione, si è trovato a dirimere controversie su co.co.co e rider. Piero Martello, 70 anni, per 35 anni ha lavorato come giudice del lavoro, negli ultimi otto è stato il presidente di sezione e nella sua carriera ha dedicato tempo anche alla categoria, come vicepresidente nazionale dell’Anm. Di conflitti ne ha visti (e risolti) tanti. Da una settimana è in pensione, accompagnato da una lettera di encomio del presidente del tribunale Roberto Bichi.

Dottore, che ufficio lascia?

“Uno dei migliori a livello europeo, con una media di durata dei processi di 142 giorni: un dato superiore alla media italiana e anche a quella del resto d’Europa che è di 168 giorni. Una vera soddisfazione per me e per i miei colleghi”.

È stato giudice del lavoro dal 1985. Che ricordo ha degli inizi?

“Erano anni difficili, c’era molta più conflittualità di adesso, ma era anche comprensibile: si arrivava dagli anni ’70 e dalla nascita dello Statuto dei lavoratori, alle spalle c’era un periodo in cui alcuni diritti non erano previsti dalle leggi e quindi gli imprenditori non erano abituati a confrontarsi con i sindacati in sede giudiziaria”.

Ha mai subito intimidazioni o minacce nella sua carriera?

“Mai. Anche se agli inizi, una volta, ci fu qualche avvocato che cercò di mettermi in difficoltà, vedendo davanti a sé un giudice giovane: quando capirono che non mi sarei piegato, mi ricusarono. La ricusazione fu respinta, ma fu un pesante tentativo di condizionarmi”.

Un ricordo difficile?

“Prima di andare al tribunale del Lavoro ho fatto il giudice penale per qualche anno: si trattava di decidere se mandare in carcere la gente o meno. In quel periodo dormivo sonni sereni. Invece quando ho cominciato a occuparmi di fabbriche e operai, prima della sentenza, talvolta mi svegliavo la notte: molte volte mi trovavo a decidere se era legittimo lasciare decine di lavoratori senza uno stipendio oppure tenere sulle aziende in difficoltà il peso di un costo del lavoro diventato insostenibile e il rischio di farle fallire. Nei processi le cose non sono sempre così nette come può sembrare nell’individuazione del torto e della ragione”.

Quando si è accorto che la città si stava trasformando?

“Quando le fabbriche cominciarono a chiudere e quando ci furono i primi fenomeni di fusione tra grandi imprese. Iniziarono ad arrivare cause per licenziamenti collettivi, era la Milano che stava cambiando pelle, basta pensare alle industrie manifatturiere che hanno lasciato la metropoli o sono state chiuse”.

Oggi che processi si fanno al tribunale del Lavoro?

“Sono diminuiti ma non sono cessati quelli su materie puramente sindacali e a ben vedere è una cosa positiva: significa che il rapporto tra le rappresentanze dei lavoratori e gli imprenditori si è andato normalizzando ed evolvendo. Sono invece cresciute le cause promosse dai singoli. Negli ultimi anni, in particolare, sempre più spesso si sono viste cause di persone inquadrate come collaboratori che in realtà venivano utilizzate come lavoratori subordinati. Molte anche le controversie sul lavoro nero oltre a quelle previdenziali”.

Che anno è stato quello della pandemia, per voi giudici?

“Molto difficile, come per tutti. Ma posso dire che i nostri uffici hanno continuato a lavorare, seppur tra mille problemi, senza fermare i processi. Non era scontato”.

Un consiglio a un giovane giudice che inizia oggi?

“Per prima cosa di impegnarsi a tutelare i diritti di tutti i contendenti. E questo significa garantire a tutte le parti la pienezza della difesa. Per il resto, gli consiglierei di fare le cose con il maggior scrupolo possibile. Perché ogni decisione incide sulla vita delle persone e delle imprese”.

Cosa farà da domani?

“Non farò il pensionato a tempo pieno. Spero di continuare a coltivare la passione per il diritto del lavoro anche occupandomi della rivista online di cui sono direttore www.lavorodirittieuropa.it”.

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