Investimenti sostenibili, più chiarezza sui prodotti finanziari: tre categorie per capire su cosa si mettono i soldi

Pubblicità
Pubblicità

MILANO – Cresce la gamma di informazioni a disposizione degli investitori sulla “sostenibilità” dei prodotti finanziari nella loro disponibilità. Con il 10 marzo entra infatti in vigore – richiamato dalla stessa Consob, l’Autorità dei mercati in Italia – il regolamento europeo 2019/2088 sulla disclosure in materia di sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (cosiddetto SFDR) che per dirla con le parole dell’Authority introduce in capo a banche e intermediari “obblighi informativi in materia di sostenibilità a livello di entità e con riferimento ai “prodotti finanziari”. In attesa che dal gennaio 2022 arrivino i dettagli tecnici definitivi – e i gestori inizino a indicare il peso sulla sostenibilità dei propri portafogli, dalle emissioni di Co2 al rispetto dei diretti umani – a disposizione del pubblico inizia a profilarsi un supplemento di informazione, a due livelli. I partecipanti ai mercati dovranno chiarire sui loro siti web gli impatti sulla sostenibilità derivanti dalle decisioni d’investimento; e a un secondo livello, i singoli prodotti finanziari dovranno esser accompagnati da una informativa precontrattuale che tenga presenti le caratteristiche e gli obiettivi di sostenibilità.

Le diverse gradazioni di “verde”

“L’action plan della Commissione Europea rafforza il ruolo della Finanza verso un’economia sostenibile orientando flussi di capitale, favorendo una migliore gestione dei rischi e incoraggiando la disclosure”, ragiona Lorenzo Randazzo, Institutional Sales Manager di Axa Im. Il regolamento “pone enfasi sulla trasparenza e sull’esplicitazione dei fattori Esg nell’integrazione nei processi aziendali e nella gestione dei prodotti”. Cosa cambia per l’industria del risparmio gestito? “Le disposizioni normative si traducono in una maggiore comunicazione nei confronti dei clienti per favorire la chiarezza e una più facile comprensione della gamma d’offerta. Per gli investitori saranno quindi disponibili maggiori informazioni sui fattori Esg che potranno essere utilizzati per cogliere al meglio l’approccio sostenibile di un asset manager. Nello specifico ad ogni prodotto sarà associato un Rischio di Sostenibilità e sarà classificato tre categorie di prodotto: Non-RI o standard, Integrato ESG, Sostenibile”.

Cosa significa questa differenziazione? L’ha sintetizzata un’analisi di Massimiliano Comità, portfolio manager di Kairos, partendo dai più virtuosi: “Al primo appartengono quei veicoli che fanno della sostenibilità una filosofia di vita e che pensano non ci sia profittabilità senza di essa; vengono indicati come dark green o “articolo 9”, perché rientranti, appunto, nell’articolo 9 della regolamentazione. Nel secondo gruppo ricadono quegli strumenti che promuovono la sostenibilità al fianco di altri fattori, quali, a esempio, il ritorno, e che per il loro grado inferiore di purezza vengono definiti light green o “articolo 8”. Poi ci sono tutti gli altri, indistinti in un mucchio etichettato “articolo 6″”. Questi ultimi dovranno “esplicitare nei propri documenti il perché non tiene conto dei rischi di sostenibilità. Un’attività poco onerosa, ma che difficilmente li metterà in buona luce agli occhi di un’Europa verde”.

Per Matteo Ramenghi, chief investment officier di Ubs WM in Italia, si tratta di un passo avanti per quel che riguarda la trasparenza ma è ancora necessario completare il percorso sulla sostanza. “ad oggi è possibile definire un prodotto come sostenibile senza dare grandi spiegazioni. Analizziamo costantemente fondi che ci vengono definiti come tali, ma li scartiamo perché non lo sono”. L’Europa in questo percorso fa scuola: “E’ l’area economica più avanti nel completare la regolamentazione su questi aspetti, vantaggio che si deve difendere anche sul mercato: l’Europa deve essere la Piazza mondiale della finanza sostenibile”.

Il primato dell’Europa e i passi ancora da muovere

Per quanto tappa intermedia, l’appuntamento con questi impegni di disclosure resta “una sfida importante che ha richiesto un lavoro notevole da parte dell’industria del risparmio gestito”, spiega Randazzo secondo il quale l’adeguamento normativo “è una grande occasione per gli operatori di mercato e le esplicitazioni richieste saranno utili per compiere scelte di investimento più consapevoli da parte dei clienti”.

Per quel che riguarda la parte di strada da percorrere verso una chiara identificazione degli investimenti sostenibili, Randazzo punta su “rendicontazione e individuazione di KPI rilevanti. Credo sia importante uniformare quanto più possibile le informazioni perché è giusto porre l’investitore nelle condizioni ideali per comparare al meglio la bontà dei prodotti offerti da case di gestione differenti. È corretto valutare i fondi sulla base dei rendimenti e dei rischi finanziari ma credo che sia altrettanto importante mettere gli investitori nella posizione di essere in grado di misurare i rischi Esg e di poter apprezzare gli eventuali impatti positivi sulla società. Sul Fronte ambientale siamo certamente più avanti se pensiamo ad indicatori ampiamente utilizzati come il Carbon Footprint; sul Sociale invece è necessario individuare ancora delle metriche Esg condivise che diventino degli standard di mercato. La normativa Sfdr di secondo livello, che entrerà in vigore nel 2022, dovrebbe favorire ulteriormente la possibilità di conoscenza e di confrontabilità”.

“Il mondo ESG di oggi è alquanto confuso – ha scritto ancora Comità – Ciascun attore dà la propria definizione di cosa sia sostenibile: alcuni si affidano a data provider esterni, che talvolta però discordano perfino nel giudizio riguardo una stessa società; altri creano classifiche interne; altri ancora implementano una soluzione ibrida, dove il giudizio del provider esterno può essere confutato da analisti interni. In questo articolato mondo, in cui l’investitore fatica a districarsi, è l’Europa a mettere ordine. Lo fa definendo regole precise verso cui tutti dovranno convergere, formule che la totalità delle entità coinvolte dovrà adottare. Le maglie si stringono, i dubbi, si spera, si dissiperanno. L’anno prossimo saremo forse in grado di distinguere un investimento sostenibile da uno che lo è solo parzialmente, oppure da un altro che non lo è affatto”.

L’interesse per il Green e il Btp italiano

Le novità arrivano in un momento di grande interesse per i temi green e di sostenibilità, che vanno oltre la finanza per entrare nelle scelte di politica economica. “Per l’Italia sono centrali: abbiamo grande biodiversità e risorse naturali, ma poche materia prime. Circolarità e rinnovabili ci consentono di difendere il territorio e avere un controllo dei prezzi dei materiali”, annota Ramenghi. Trend che riscontrano sempre più interesse da parte degli investitori, anche perché “le performance dei titoli green si sono dimostrate più resilienti anche di fronte alla pandemia e le società che operano secondo i criteri Esg sono esposte a minori rischi”.

In tempi, aggiunge Randazzo, in cui la transizione tecnologica e le grandi dinamiche demografiche stanno pensionando i tradizionali criteri di valutazione delle società basate su settori e Pease, “una delle tematiche d’investimento più interessante è certamente quella della Clean Economy che sta beneficiando degli ingenti flussi nell’economia verde”. Sul fronte obbligazionario in Axa IM guardano “con grande interesse” al fenomeno “degli Impact Bond come i Green, Sustainable e Social Bond. I Green Bond sono ormai diventati uno standard di mercato sia per dimensioni (ci attendiamo il superamento di mille miliardi di dollari masse quest’anno) che per pluralità di emittenti tra Stati, Sovranazionali e Aziende”.

Anche l’Italia ha fatto la sua parte lanciando il primo titolo Green e per Randazzo si è trattato di una emissione “particolarmente significativa perché i proventi saranno destinati a finanziare un gran numero di progetti, non solo legati alle rinnovabili, ai trasporti a basse emissioni e ai green building, ma anche alla gestione dei rifiuti, dell’acqua e della biodiversità”. Ramenghi si aspetta “che la domanda resti sostenuta anche nelle emissioni a venire, perché questo genere di strumenti intercetta una platea più ampia di investitori tradizionali e focalizzati sulla sostenibilità”. Un mondo su cui scommettere, chiosa Radazzo, sono i Social Bond, fenomeno più recente: “Nel solo 2020 abbiamo visto come il numero degli emittenti sia aumentato del 50% e ci aspettiamo una ulteriore crescita, in parte dovuta agli effetti della pandemia, legata a temi come salute, inclusione ed emancipazione sociale”.

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *