La vigilia di Natale, l’ayatollah Ali Khamenei, l’uomo più potente dell’Iran, ha aperto il suo account Twitter in italiano. La piattaforma è ufficialmente vietata in Iran dalle proteste dell’onda verde del 2009, ma tutti i leader la usano e così molti cittadini, che riescono ad aggirare la censura grazie alle reti Vpn. Khamenei aveva già un account Telegram in italiano – aperto a settembre – e le pagine Instagram e Facebook, ma Twitter è uno dei suoi principali canali di comunicazione (ce l’ha anche in francese, spagnolo, arabo, russo e tedesco).
La scelta dell’ayatollah può apparire un dettaglio di sola strategia comunicativa, ma arriva in un momento particolare delle relazioni tra l’Iran, l’Europa e l’Italia. Tra venti giorni si insedierà la nuova amministrazione americana, Joe Biden ha già detto che è pronto a ridiscutere il rientro americano nel Jcpoa – l’accordo sul nucleare iraniano abbandonato da Trump nel 2018 – il che significherebbe la fine delle sanzioni, ma la strada dei negoziati è complicata e l’Iran cerca interlocutori di cui fidarsi.
I rapporti con l’Europa non sono sereni e l’Italia è considerata da Teheran un mediatore importante. Agli inizi di dicembre i paesi dell’EU3 – Francia, Germania e Gran Bretagna, che hanno trattato l’accordo sul nucleare con Cina, Russia, Stati Uniti – hanno preso una posizione dura contro la legge approvata dal Parlamento iraniano che chiede di aumentare il livello di arricchimento dell’uranio e di sospendere le ispezioni dell’Aiea nei siti nucleari iraniani se le sanzioni non dovessero essere subito rimosse dal nuovo presidente americano. Pochi giorni dopo, l’8 dicembre, il presidente del Parlamento iraniano, Mohammad Bagher Qalibaf, un conservatore ex militare dei Pasdaran, considerato al momento uno degli uomini più influenti nella politica iraniana, ha incontrato l’ambasciatore italiano in Iran, Giuseppe Perrone, a cui ha espresso il disappunto di Teheran per la posizione europea. Perrone è stato il primo e finora l’unico diplomatico occidentale a incontrarlo, il giorno prima il segretario generale della Farnesina, Elisabetta Belloni, aveva parlato con il viceministro degli Esteri iraniano, Sayed Abbas Araghchi.
“Gli iraniani chiedono esplicitamente che l’Italia abbia un ruolo più incisivo nel dialogo tra Iran e Europa”, dice Nicola Pedde, direttore dell’Institute for Global Studies, esperto di Iran. Nel 2003, quando si costituì il gruppo europeo per avviare i negoziati sul nucleare, l’Italia rimase fuori dall’EU3, per volere “della Germania di Schroeder”, dice Pedde. Riesumare l’accordo sul nucleare non è scontato, sul tavolo della Casa Bianca ci sono altre questioni da discutere con Teheran che riguardano il programma missilistico e la presenza regionale del’Iran, ma unire i diversi dossier “rischierebbe di danneggiare il ritorno all’accordo nucleare” che è l’interesse nazionale primario di Israele. “Biden questo lo sa e vorrebbe procedere un passo alla volta, gli europei hanno una posizione diversa, stanno puntando su nuovo accordo omnicomprensivo e questo rischia di danneggiare anche gli Stati Uniti”, osserva Pedde. Teheran conta su Roma per una moral suasion. “Quello che l’Italia può fare è tenersi lontana dalle posizioni EU3 e ritagliarsi un ruolo di facilitatore nel negoziato con gli americani”.