Janna Gommelt, il 118 e quei 51 minuti che potevano salvarla: ecco i documenti che provano la verità

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La verità su Janna Gommelt, la 25enne tedesca morta il 20 gennaio a Focene, è che a stroncarla è stato un infarto improvviso. Tutto il resto – le telefonate “parziali-integrali” rese pubbliche dalla Regione, le note accusatorie dell’Ares – sono stati tentativi di insabbiare l’altra verità.

Il referto del pronto soccorso da cui nero su bianco si deduce che l'ambulanza ha preso in carico Janna alle 16.30. Cinquantuno minuti dopo la prima chiamata delle 15.39, altro che i "18 minuti" dichiarati da Ares

Il referto del pronto soccorso da cui nero su bianco si deduce che l’ambulanza ha preso in carico Janna alle 16.30. Cinquantuno minuti dopo la prima chiamata delle 15.39, altro che i “18 minuti” dichiarati da Ares 

Quella che il fidanzato di lei, Michael Douglas, ha subito denunciato: se i soccorsi fossero arrivati prima, Janna si sarebbe potuta salvare.

Lo conferma il referto del pronto soccorso che Repubblica ha potuto consultare: l’ambulanza ha preso in carico Janna alle 16,30. Cinquantuno minuti dopo la prima chiamata delle 15.39, altro che i “18 minuti” dichiarati da Ares. Un tempo immenso, tanto che la donna era “in asistolia già all’arrivo del mezzo”. Ovvero il suo elettrocardiogramma era piatto. Era già morta.

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Lo scorso weekend – a oltre 80 giorni dalla morte di Janna – la famiglia ha ricevuto il referto dell’autopsia: le cause sono naturali e la morte è stata improvvisa. A portarsi via Janna è stato solo il destino crudele, coadiuvato da un ingiustificabile ritardo dei soccorsi. “Come riferito dal personale del 118 la paziente è stata trovata in un camping in arresto cardiorespiratorio” si legge nella cartella clinica redatta dall’ospedale Grassi di Ostia, dove Janna è arrivata, cadavere, alle 17,07.

I soccorritori del 118 le hanno comunque somministrato “3 fiale di adrenalina e 2 di cordarone (un medicinale utilizzato contro i disturbi del ritmo cardiaco, ndr“: manovre inutili su un cuore che non risponde nemmeno al defibrillatore. Quando Janna giunge al Grassi, la cianosi – il colorito bluastro sul corpo – è già “diffusa”. E le sue pupille sono fisse e dilatate. Al medico di turno non resta che constatarne la morte.

Di quel freddo e assolato pomeriggio rimangono le parole disperate di Douglas, quelle che si sentono negli unici 2 minuti di audio – su un totale di due telefonate da 10 minuti l’una – che sono stati resi pubblici dalla Regione. Un brandello di telefonata – che nulla chiarisce – accompagnato da una nota dell’Ares che dichiara che “la telefonata è stata subito geolocalizzata”.

Ma qualcosa è andato storto, perché l’ambulanza, invece di seguire il Gps di Douglas, è arrivata nel luogo sbagliato. Ares ha pensato bene di fare scaricabarile, accusando l’uomo di essersi “spostato autonomamente”, senza invece spiegare il perché i soccorritori non hanno seguito la prassi e non hanno richiesto di mettersi in contatto direttamente col chiamante. La verità è in quelle due telefonate oggetto di audit interno, ancora riservate. Ma forse, davanti a 51 minuti certificati di ritardo sui soccorsi, quelle telefonate non servono nemmeno più.

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