Mentre l’ultimo volo italiano toccava la pista di Fiumicino e tutti i Paesi, con esclusione in parte degli Stati Uniti, ritenevano conclusa la grande esfiltrazione di civili dall’Afghanistan, a Kabul c’era ancora qualcuno che aspettava. Le donne che avevano lavorato con gli occidentali, chiuse in casa nella speranza di non essere trovate dai talebani; i traduttori, chi ha offerto assistenza alle ambasciate e alle aziende, i collaboratori delle Ong che hanno provato a raggiungere l’aeroporto di Kabul, magari dopo aver affrontato un giorno di viaggio da Herat; gli artisti, le sportive, gli intellettuali, i giornalisti che speravano di finire in una delle liste dei Paesi occidentali, e magari ci sono anche riusciti, ma poi non ce…
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