La Cina all’assalto degli atenei italiani. I Servizi in allarme

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Davanti c’è una strada che si stringe. Sul retro, invece, si vede una porta che non accenna a chiudersi. C’è un capitolo che agita, da qualche settimana, un pezzo della nostra intelligence. Ed è il rapporto che l’Italia ha scelto di avere con una delle potenze mondiali: la Cina. Dopo gli ultimi anni in cui si erano registrate grandi aperture – non ultimo nei due governi a guida Giuseppe Conte – il governo Draghi ha indicato una strada molto chiara con due scelte.

La gara per il 5G del Viminale che di fatto ha escluso – almeno per il momento (sulla vicenda si è aperto un contenzioso legale) – quelle società che utilizzavano tecnologia cinese, Huawei e Zte, spianando la strada a Tim. E l’apertura di un dossier sulla vendita di una società di droni militari (Alpi Aviation) da parte di due aziende legate, si è scoperto poi, al governo cinese. L’indicazione è chiara: il mercato è libero. Ma tutti devono rispettare le regole, una su tutte: non ci può essere alcuna ingerenza diPesi esteri, men che meno non alleati Nato, nella nostra sicurezza nazionale.

Sta accadendo, però, che le aziende asiatiche abbiano scelto una strada alternativa. Meno appariscente, ma altrettanto importante e fruttuosa: intensificare scambi e partnership con le nostre università, incrementando progetti e centri di ricerca. Il tutto senza alcuna regolamentazione, tant’è che neppure il ministero per l’Università e la Ricerca possiede una mappa di tali “alleanze”. Che, pure, sono importanti: Huawei è il principale sponsor di una collaborazione sul 6G tra l’University of Electronic Science and Technology of China e il Politecnico di Milano. E, proprio grazie agli accordi con gli atenei italiani, è già dentro il progetto del cloud europeo su cui Bruxelles aveva alzato le barricate.

L’allarme oltreconfine

Il dibattito sui rischi connessi a centri di ricerca, accademie e think tank finanziati dalla Cina e dalle aziende legate al partito comunista cinese, in Europa è centrale da tempo. L’Italia invece fin qui, almeno con la politica (l’intelligence ci lavora da tempo), è rimasta afona. Eppure la questione esiste. In un paper sulla “Cooperazione Cina-Italia nell’istruzione superiore” pubblicato in ottobre da Nicola Casarini, responsabile di ricerca per l’Asia orientale presso l’Istituto Affari Internazionali, si parla delle “sponsorizzazioni universitarie da parte di aziende cinesi, come Zte e Huawei, fino al punto di suscitare interrogativi sulle implicazioni per l’interesse nazionale dell’Italia e la sicurezza dei suoi alleati occidentali”.

Casarini segnala come in altri Paesi “la collaborazione in campo scientifico-tecnologico è stata sottoposta a uno scrutinio sempre più rigoroso”. Mentre in Italia poco o nulla si è fatto. Spiega il professore a Repubblica: “I nostri atenei sono afflitti da un’endemica penuria di fondi e il fatto che ne arrivino da aziende offre la possibilità di portare avanti progetti che altrimenti non si potrebbero realizzare. Il rovescio della medaglia è che non si tratta di beneficenza: la Cina vuole in cambio tecnologia e know how senza troppi controlli”.

Le reti di Huawei e Zte

La collaborazione più antica di Huawei è quella con l’Università di Cagliari. L’intesa più recente ha invece dato vita all’Innovation Lab inaugurato a ottobre nel parco tecnico-scientifico dell’università di Pavia, con un investimento di 1,7 milioni. In Italia Huawei ha creato 5 Innovation Center con altri operatori di Tlc e un Joint Innovation Center con la Regione Sardegna.

Risale invece al 2004 la scelta di aprire a Segrate il suo Global Research & Development Center, che oggi è uno dei più importanti hub di innovazione del gigante di Shenzen fuori dalla Cina, grazie al contributo di 100 ricercatori e alla collaborazione con 15 atenei italiani. Zte, invece, in Italia è presente a Milano, Torino e Roma, dove sta realizzando reti 5G e smart city in alcune città insieme con Wind Tre e Open Fiber. Ha in piedi accordi con l’università de L’Aquila, Tor Vergata e Torino.

L’otto febbraio 2018 i vertici della società hanno firmato un memorandum d’intesa con il Campidoglio (guidato dalla grillina Virginia Raggi) per il progetto Roma 5G. In base al contratto, Zte avrebbe partecipato al progetto pilota della futura rete di ultima generazione e della tecnologia della rete wireless, nonché allo sviluppo dell’infrastruttura necessaria ai servizi di una smart city digitale. Curiosità: ogni qualvolta c’era da aprire un centro di ricerca finanziato da Huawei o Zte in Italia, a tagliare il nastro si son sempre presentati parlamentari o sottosegretari del Movimento 5 Stelle. Dai 5G ai 5S, potrebbe non essere soltanto una questione di consonanti.

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