La Corte dei conti bacchetta l’Indire: i costi del personale sono troppo alti. E la questione arriva in Parlamento

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La Corte dei conti bacchetta l’Indire (l’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa), una costola del ministero dell’Istruzione. E il vicepresidente della commissione Cultura della camera dei deputati, Nicola Fratoianni (Sinistra Italiana), presenta un’interrogazione parlamentare rivolta ai ministri Patrizio Bianchi (Istruzione), Maria Cristina Messa (Università) e Daniele Franco (Economia). Al centro della richiesta di chiarimenti una serie di rilievi piuttosto consistenti avanzati dai magistrati contabili a carico dell’istituto con sede a Firenze. La relazione risale a tre mesi fa e si riferisce alla gestione finanziaria dell’anno 2019, quando a capo dell’istituto c’era Giovanni Biondi.

Sotto la lente d’ingrandimento della Corte finiscono i compensi degli organismi di gestione dell’istituto, l’interim “troppo lungo” dell’Ufficio dei servizi giuridici e amministrativi, il crescente ricorso a incarichi di consulenza e la mancata partecipazione dell’ente alle norme sul contenimento e sulla razionalizzazione della spesa pubblica. Un fuoco incrociato di rilievi che rischia di mettere in crisi l’istituto. L’indire nasce nel 1925 a Firenze come Mostra didattica nazionale sui prodotti delle scuole “nuove”. Nel 1974, dopo diversi cambi di denominazione, si trasforma in Biblioteca di documentazione pedagogica (Bdp). Nel frattempo nella scuola italiana esordiscono la dirigenza e l’autonomia scolastica. Siamo a ridosso del 2000.

E nel 2001 la Bdp diviene Indire. Nel 2007, per supportare la trasformazione delle scuola in istituzioni scolastiche autonome, si trasforma in Ansas: Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’Autonomia Scolastica. Ma l’Ansas dura poco e nel 2012 l’istituto ritorna a denominarsi Indire. Oggi, l’istituto gestisce diversi progetti europei, come l’Erasmus+ 2021-2027, oltre che occuparsi di ricerca inerenti le tematiche scolastiche. Sulla questione dei compensi la Corte osserva un vero e proprio vuoto legislativo che determina retribuzioni che “differiscono in maniera consistente”, si legge nella relazione, rispetto a quelli immaginati dai magistrati contabili. “La questione dei compensi – rilevano da Roma – degli organi risulta tutt’oggi controversa, avendo riguardo alle procedure seguite per la relativa determinazione”.

In base allo statuto, i compensi di tutti gli organismi (Presidente, membri del Consiglio di amministrazione e del Collegio dei revisori) gravano sul bilancio dell’Istituto. E dovrebbero essere determinati in base a un decreto interministeriale tra i ministeri dell’Istruzione e dell’Economia. Ma l’unico decreto di riferimento è quello risalente al 2002, quando l’Istituto si denominava ancora Ansas ed era parecchio diverso dall’attuale Indire. Per questa ragione l’istituto, spiegano i magistrati, “ha sempre ritenuto che il decreto del 2002 non potesse trovare applicazione in quanto riferito ad un ente con struttura organizzativa e di gestione molto diversa da quella attuale”. E, in attesa del decreto interministeriale, i compensi vengono determinati in base a un decreto del presidente della repubblica del 2001.

Lo stesso ministero dell’Istruzione, però, raccomanda all’istituto di riferirsi a quello del 2002, che determinerebbe compensi inferiori. Nelle conclusioni alla relazione della Corte dei conti si “evidenzia l’assoluta esigenza di una definizione in tempi rapidi della complessiva questione dei compensi, non potendo costituire l’erogazione a titolo provvisorio un valido titolo di legittimazione delle spese all’esame”. Una circostanza che apre le porte a possibili recuperi “delle eventuali somme riconosciute in eccesso”. A titolo di esempio, il compenso del presidente, calcolato dall’Indire in 91.245 euro annui lordi, secondo la Corte sarebbe dovuto scendere a 37.660 euro: quasi un terzo. Stesso discorso per tutti gli altri componenti.

Sull’interim del l’Ufficio dei servizi giuridici e amministrativi e degli affari generali la Corte è netta. “La gestione “ad interim” di un ufficio dirigenziale – scrive la relatrice Vanessa Pinto – non può che essere, per propria natura, eccezionale ed avere durata limitata nel tempo, mentre nel caso di specie risulta protrarsi da oltre tre anni”. Occorre quindi provvedere alla nomina di un nuovo dirigente “ponendo fine al suddetto metodo di gestione “emergenziale” degli uffici dirigenziali”. E nella relazione si stigmatica, senza giri di parole, anche il ricorso crescente agli incarichi di consulenza esterni: da 1,225 milioni del 2018 a 1,470 milioni del 2019. Una circostanza che i giudici non riescono a spiegarsi in quanto la stabilizzazione di una quota del personale avrebbe dovuto determinare “una proporzionale razionalizzazione dei contratti di consulenza, quantomeno con riferimento alle funzioni ordinarie dell’Ente”. E non manca una bacchettata finale sulla mancata adesione ai criteri di razionalizzazione della spesa imposti a tutti gli altri enti e istituti pubblici. Ma questa volta l’istituto, sotto la vigilanza del ministero fino al 2019, ha seguito le indicazioni di viale Trastevere che si è contrapposto a quello dell’Economia.

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