La fine del World Wide Web

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Il nuovo Ceres-1 sembra adatto alla missione di Will Marschall. È  conveniente, pronto all’uso, e ha effettuato il primo volo senza problemi. Qualche settimana fa il razzo è decollato da una base nel deserto del Gobi e ha posizionato a 515 chilometri di altitudine il satellite per telecomunicazioni Tianqui-11. Il Ceres-1 potrebbe avere un grande futuro, ma Marshall non potrà usarlo per i suoi scopi – perché il razzo viene dalla Cina.

Marshall, ex scienziato della Nasa, è fondatore e presidente dell’americana Planet, massimo fornitore mondiale di immagini satellitari. La sua flotta di satelliti fotografa una volta al giorno l’intera superficie del globo. La società, con base a San Francisco, continua a inviare telecamere nello spazio. In genere Marshall prenota a questo scopo i lanciatori Sojuz russi o  i Falcon -9 dell’americana SpaceX. “Mi piacerebbe utilizzare anche razzi cinesi” dichiara a Die Welt, “Ma purtroppo è impossibile”.

Perché c’è l’embargo: i satelliti americani, per ordine del presidente George W. Bush, non possono essere portati in orbita da lanciatori cinesi. Ciò nonostante la Repubblica Popolare è diventata una nazione all’avanguardia nel settore. Nel 2019 ha effettuato con successo ben 32 lanci, un primato internazionale.

“La Cina ha un ruolo importantissimo nell’industria aerospaziale” dice Marshall. “Quindi  è tempo di superare lo scisma tecnologico. Con la Russia è andata bene. “Un tempo sembrava impensabile che capsule Sojuz potessero trasportare astronauti americani” dice Marshall, “Poi è diventato normale”.

I politici statunitensi sono uniti contro la Cina

 

L’America è lacerata, democratici e repubblicani sono avversari inconciliabili. Solo su un punto concordano:  la Cina è il nemico di Stato numero uno. Così entrambi i partiti sono favorevoli all’embargo sui razzi e alla lotta avviata dall’ex presidente Donald Trump contro le piattaforme internet come TikTok e WeChat. Washington persegue l’obiettivo pressoché unanime di tener separate le industrie hightech americane da quelle cinesi.

Lo scorso anno il Congresso Usa ha esaminato più di 150 disegni di legge contro Pechino – quasi uno ogni due giorni. Alcuni miravano a garantire sostegno al movimento democratico di Hong Kong, altri intendevano imporre alle imprese cinesi obblighi di maggior trasparenza nei confronti della SEC, l’ente di vigilanza della Borsa Usa. Molti sono stati approvati all’unanimità.

Per le società tecnologiche americane la lotta di Washington contro la Cina equivale a un incubo. La Silicon Valley è legata a doppio filo alla Repubblica Popolare e molti si augurano che la divisione in campo tecnologico tra i due paesi venga superata. È un fossato invisibile che porta settori importanti come l’industria aerospaziale, il comparto degli smartphone, delle app, persino la stessa internet ad una progressiva frammentazione. Alle aziende tech la politica non interessa.

Ma c’è anche chi giustifica la linea dura di Washington e chiede fossati ancor più profondi. “La separazione dalla Cina è un atto più che dovuto” dichiara Derek Scissors, economista del think tank di Washington American Enterprise Institute.

Il governo di Pechino, sostiene, soffoca la concorrenza straniera e lede la proprietà intellettuale. “È un’odiosa dittatura”, dice Scissors, il presidente Xi Jinping ha creato uno stato di sorveglianza.  “Per questo dobbiamo limitare i rapporti economici con il paese”, aggiunge, “soprattutto nel campo della tecnologia”.

Non si tratta solo di app  

 

La questione va oltre TikTok e WeChat. Il mondo vive lo scontro tra due ideologie, da un lato la simbiosi tra economia di mercato e democrazia, dall’altro il capitalismo autoritario. America e Cina non si danno battaglia solo sulle app, ma sulle prospettive di successo di un ordine sociale rispetto all’altro nel ventunesimo secolo. Per Washington è in gioco il predominio tecnologico e quindi anche politico-militare.

Cosa rischiano le aziende tech se la guerra continua? Nella Silicon Valley ripetono sempre la stessa parola: Splinternet. “Il web come lo conosciamo”, dice Amy Webb, una delle più famose futurologhe statunitensi, “un giorno non esisterà più”.

Alla rete globale in cui tutte le informazioni sono accessibili a tutti gli utenti, si sostituiranno molteplici reti regionali, un fenomeno definito anche ‘cyberbalcanizzazione’. “Inernet si disgrega, come a suo tempo i Balcani”.

Potrebbero nascere due versioni del World Wide Web, una dominata dall’America, l’altra dalla Cina, ciascuna con le proprie app, i propri social e i propri standard. Se ne vedono già le avvisaglie. Pechino ha bloccato Google, YouTube, Facebook, Instagram, Wikipedia, Twitter e WhatsApp, solo per citare alcuni servizi famosi.

Il rivale Instagram sostiene TikTok.

Washington da parte sua intende vietare negli USA l’accesso a TikTok, WeChat e altre app cinesi, tutte accusate di spiare gli utenti americani. “I dati sensibili dei nostri cittadini potrebbero finire in mano a un regime totalitario” ha dichiarato in gennaio in via ufficiosa un alto rappresentante del governo. Bisogna evitarlo ad ogni costo. 

Già Donald Trump ha cercato di costringere ByteDance, la società che possiede TikTok, a vendere le attività americane a soci statunitensi. La Silicon Valley è ben poco entusiasta di questa politica. Persino il rivale Instagram prende le parti di TikTok.

“Il rischio di una frammentazione di Internet” ha dichiarato recentemente alla CNBC il numero uno di Instagram, Adam Mosseri,  “supera qualunque vantaggio a breve termine che la nostra impresa potrebbe trarre dalla messa al bando di TikTok”. A suo avviso la politica anti TikTok potrebbe ritorcersi contro l’America nel momento in cui un numero crescente di paesi potrebbe sfruttarla come giustificazione per sbarazzarsi di app a loro volta poco gradite.

A Washington poco importa, come dimostra l’azione del governo contro WeChat. L’app cinese compendia molte funzioni: chat, mobile payment, taxi, piattaforma e-commerce. Unisce in pratica WhatsApp, Uber e Amazon. In Cina ha più di 700 milioni di utenti, ossia metà della popolazione. Nel paese è impossibile immaginare la quotidianità senza WeChat.

Apple realizza in Cina un quarto del volume d’affari

Anche negli Usa milioni di persone utilizzano WeChat per restare in contatto con parenti e amici cinesi. Società come Starbucks e McDonalds sono contrarie al blocco, temono infatti di perdere i clienti cinesi se il servizio di pagamento verrà sospeso.

Il blocco di WeChat non entusiasma neppure i signori della Silicon Valley, soprattutto Apple potrebbe subirne conseguenze negative, visto che realizza in Cina un quarto del suo volume d’affari.

Ma che succederà se Apple sarà costretta a rimuovere in tutto il mondo WeChat dai suoi dispositivi? I cinesi si troverebbero a dover scegliere tra l’iPhone e la app che gli organizza la vita. Nella maggioranza dei casi la decisione sarebbe a favore di WeChat. 

Non sembra proprio che il nuovo governo Usa abbia intenzione di tenere maggior conto delle esigenze della Silicon Valley. (Copyright Die Welt/Lena-Leading European Newspaper Alliance. Traduzione di Emilia Benghi)

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