La fotografia della realtà

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Gli scatti della guerra in Ucraina della fotografa Evgeniy Maloletka, di Associated Press - (AP),  in una stazione ferroviaria in Lituania per mostrare ai viaggiatori russi in transito un quadro reale del conflitto. 25 marzo 2022Foto di PETRAS MALUKAS/AFP 

Gli scatti della guerra in Ucraina della fotografa Evgeniy Maloletka, di Associated Press – (AP),  in una stazione ferroviaria in Lituania per mostrare ai viaggiatori russi in transito un quadro reale del conflitto. 25 marzo 2022
Foto di PETRAS MALUKAS/AFP  
Non è un manifesto, non è un cartellone pubblicitario. Non è una stampa decorativa. Quella fotografia è lì per catturare lo sguardo di chi, invece, vorrebbe distoglierlo. Perché non sa. Perché non crede. Nella già lunga epoca della riproducibilità tecnica, la fotografia smaterializzata affolla la memoria dei nostri smartphone e ha liberato quella che ha sede nell’ippocampo. Fotografiamo sempre, fotografiamo tutto. Filtriamo, rimontiamo, quasi fatichiamo a credere che una fotografia afferri davvero una porzione del reale.

Che quella fotografia sia vera, che dica la verità, una verità che comunque non li raggiunge, i passeggeri russi di una stazione in Lituania forse non riescono a crederlo. O forse sì. Può una fotografia svegliarli, svegliarci? Può una fotografia fare la differenza, portarci un messaggio senza parole che modifichi il nostro rapporto con la realtà? Può non metterci – me lo chiedo ogni giorno – nella condizione di spettatori ricattati dall’estetica? L’estetica terribile della guerra. Questa fotografia di una fotografia è come una domanda muta. Non so se, per usare l’espressione di un geniale studioso di dagherrotipi, ci fa venire a capo del buio. Ma forse ha ragione quel grande scrittore europeo scomparso esattamente dieci anni fa, Antonio Tabucchi – quando scriveva che la fotografia ci sovrasta e ci supera. E ci spia, e in qualche modo ci perseguita.

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