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La giornata contro il razzismo: “Cara Italia, ci siamo anche noi”

Nella Giornata contro le discriminazioni, “Repubblica” ha scelto di dare voce ai giovani di origine straniera, ma nati e cresciuti qui. Sono professori, ingegneri, sportivi, web influencer, studenti modello. Hanno lottato per anni contro razzismo e burocrazia per avere il diritto di chiamarsi cittadini a pieno titolo del Paese di cui si sentono figli. E ora dicono: “Siamo oltre un milione, vogliamo essere protagonisti”.

Raccontate anche voi la vostra storia di italiani senza cittadinanza inviando una mail a cronaca@repubblica.it

Simohamed Kaabour

“Insegno al liceo educazione civica e cultura araba”

Simohamed Kaabour ha 39 anni e un leggero accento genovese. Insegna educazione civica e lingua araba al liceo Deledda. È arrivato da bimbo: “Ricordo il viaggio in treno. Un signore ci regalò dei disegni: sul mio c’era un pallone”. Era il 1991. Suo padre Hassan lucidava l’acciaio. “I compagni erano simpatici, ma non sapevo l’italiano. Uno mi ripeteva: “Negro!”, gli altri ridevano. Me lo spiegò il mio amico Idrissa, che aveva il padre del Burkina Faso: “Non farci caso, non sono cattivi”. Ora ha un ristorante a Bergamo”. Laurea in lingue, specializzazione in diritti umani. Nel 2006 supplente in una scuola media. “Scoprirono che non ero italiano, credevo bastasse il permesso di soggiorno. Mi cacciarono male”. Tre anni di battaglie per riavere il posto e la cittadinanza. “Il futuro è certo: lo dicono i numeri. Il presente meno. Va ripensato, per dare anche a noi la possibilità di diventare protagonisti”.

Hilda Ramirez

“Quando tornavo in Ecuador mi mancava casa”

Hilda Ramirez, figlia di due prof, da piccola soffriva di meningite: a 5 anni lasciò l’Ecuador per curarsi in Italia. Le cure andarono avanti fino ai 13, la sua famiglia vendette casa e si trasferì. Papà si arrangiava come muratore finché fu assunto dalle Ferrovie, mamma per un po’ provò a farsi riconoscere la laurea, poi rinunciò e si mise ad assistere gli anziani. “Ho avuto la cittadinanza alla vigilia della laurea, dopo vent’anni. Poi l’ho fatta avere ai miei, che quasi si sentivano in debito con l’Italia, non volevano disturbare”. Hilda oggi ha 30 anni, è una webmaster, vive nel Bergamasco, sposata a un altro ragazzo di seconda generazione: “Lui è ingegnere”. Ricorda la prima vacanza nel Paese d’origine: “Piangevo sempre, mi mancava casa”. Poi da adolescente, in questura: “Con i miei che ogni volta dovevano rinnovare i documenti capii che non ero italiana come gli altri: nessuno me lo aveva detto, prima”.

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Giorgia Cociorva

“Mi sono laureata con una tesi sullo ius soli”

Giorgia è laureata in ius soli. “Dopo anni passati a lottare contro una vecchia legge da rottamare, sentendomi straniera in casa mia, ho dedicato la tesi a tutti gli italiani senza cittadinanza”. Giorgia Cociorva, 22 anni, papà albanese, mamma moldava, studia e lavora come modella. Il padre non l’ha mai conosciuto, è stato rimpatriato poco dopo la sua nascita. “Sono nata e cresciuta a Bologna. Ho vissuto tutta la mia vita in affidamento presso una famiglia italiana. Solo dai 2 ai 5 anni mi sono trasferita in Moldavia, terra della mia madre biologica. Quando sono diventata maggiorenne ho chiesto la cittadinanza e me l’hanno negata: l’Italia non mi riconosceva perché avevo vissuto tre anni all’estero. Ma ero solo una bambina, come potevo capire allora cosa fosse meglio per me?”. Poi, finalmente, i nodi burocratici si sono sciolti e l’8 giugno 2017 ha ottenuto il passaporto tricolore: “Un giorno indimenticabile”.

Mihai Zugravel

“Ho la media del 9, ma il mio sogno è il passaporto”

Mihai colleziona record. A scuola è un talento, media del 9,36, premi, borse di studio. Le sue materie preferite? Economia e matematica. Mihai Zugravel, 18 anni, è un “italiano al 100%”, pur essendo nato in Romania. La sua casa è Ottone, in provincia di Piacenza. Appassionato di moto e ottimo calciatore, ha due sogni nel cassetto: laurearsi in economia “per poi fare carriera in una grande azienda” e il passaporto tricolore. Arrivato in Italia nel 2006 quando aveva appena tre anni, frequenta oggi il quarto anno dell’istituto tecnico San Colombano di Bobbio. Il razzismo? “Quello vero, qui a Ottone non l’ho mai vissuto”. Presto avvierà le lunghe pratiche per ottenere la cittadinanza. “In verità chi nasce qui o ci arriva da piccolino dovrebbe avere un canale più veloce per diventare italiano. Nella mia classe ci sono altri due studenti di origine straniera: è questa la normalità, questo il futuro dell’Italia”.

(agf)

Filippo Hu

“Parlo male cinese, mangio e penso solo in italiano”

È stato in dubbio, quando, a 18 anni, ha dovuto scegliere fra la cittadinanza cinese e quella italiana, il torinese Filippo Hu. Ma oggi, che di anni ne ha 25 e sta facendo un dottorato in informatica, non è pentito della decisione presa fra mille perplessità: “I miei genitori hanno mantenuto il passaporto cinese e un legame forte col Paese d’origine”. Lui, che studia recommender system ma è nato in una famiglia di imprenditori tessili stabilitasi trent’anni fa a Moncalieri, ha capito presto che il suo futuro non sarà in Cina. “Vivo in Italia, questa è la mia lingua madre, non so parlare bene in cinese, mangio e penso in italiano, i miei amici sono tutti italiani, come Eleonora, la mia ragazza, che mi ha fatto sempre sentire a casa. Prendere la cittadinanza era la scelta più naturale. Sulla carta di identità sono Zhongli Filippo Hu. Un nome italiano e uno cinese composto da due ideogrammi: significano Italia e Cina”.

Gaia Cavina

“Gioco a rugby e sfido i pregiudizi anche nello sport”

Nel rugby, il mediano di mischia è il più sveglio: il regista. Gaia Cavina è la più giovane di 4 sorelle, tutte rugbiste. Due, Giulia e Micol, giocano in Nazionale. Ma gli esperti dicono che la più forte è lei, anche se ha solo 16 anni. Il padre, Stefano, è di Cogoleto. La mamma, Nkem, di origine nigeriana. “L’altro giorno un compagno mi ha mostrato la chat dei maschi: ho scoperto che mi prendono in giro. “Negra di m…”, scrivono. E dei disegni che mi vergogno a raccontarli. Io sorrido sempre e vorrei essere amica di tutti. Così ne ho parlato con le compagne: forse andremo a dirlo alla psicologa della scuola”. Ne ha parlato anche a papà. “Voleva andare dai professori, gli ho detto di aspettare. Sono solo ragazzini, forse capiranno”. Dice che la discriminazione non è solo sulla pelle: “Malagò, presidente del Coni, ha detto che avrebbe voluto un figlio maschio, per farlo giocare a rugby. Da uno come lui non me lo aspettavo”.

Tasnim Ali

“Grazie a TikTok aiuto chi mi segue a capire l’Islam”

Ha solo 21 anni, Tasnim Ali, ma già 307 mila follower su Tik Tok e altri 61 mila su Istagram. Nata ad Arezzo da genitori egiziani, cresciuta a Roma, ha da tre anni la cittadinanza italiana e un lavoro in tasca: influencer e content creator con un’agenzia alle spalle. “Da dicembre sono anche inviata di Sky per la trasmissione “Ogni Mattina””. Tasnim è un bellissimo vulcano, che con la sua immagine patinata ed affascinante promuove oggetti di moda assieme alla sua cultura d’origine, la sua religione, il suo essere a cavallo fra due mondi e starci molto comodamente. “I miei follower sono soprattutto 18-25 enni, ragazzi italiani come me, incuriositi dalle origini della mia famiglia e dalla mia cultura, dal mio modo di vivere. Mi fanno domande, vogliono capirmi, imitarmi. Qualcuno mi critica per il velo, ma io rispondo in modo ironico. E molti si ricredono nei loro pregiudizi verso l’Islam”.

(agf)

Gian Matteo Marie

“Nato a Palermo ma fino a 18 anni non avevo diritti”

Gian Matteo Marie è nato a Palermo da genitori mauriziani. La cittadinanza italiana l’ha conquistata a 18 anni, ma lui che adesso ne ha 21 si sente palermitano da sempre. “La cittadinanza mi ha permesso di dirlo ancora con più forza che sono italiano. È ingiusto, però, dovere aspettare fino ai 18 anni per ottenerla”, dice Gian Matteo. Alle Mauritius è tornato una volta quando aveva otto anni. “Il mio futuro è in Italia, spero anche a Palermo, anche se è difficile trovare un lavoro”, dice il ragazzo. È iscritto al primo anno del corso di laurea in Ingegneria elettrica. Vive a Ballarò, un quartiere multietnico del centro storico. Accanto allo studio coltiva la passione per il teatro. “A parte qualche episodio spiacevole all’oratorio, con il bullo di turno che mi chiamava “turco”, qui sono cresciuto bene. Ho amici di tutte le nazionalità. Parlo il dialetto siciliano come il creolo. Palermo è casa mia”.

Hasnain Abbas Bhatti

“Pachistano o italiano? Non voglio scegliere, ma rivendicare una doppia identità”

“Pachistano o italiano? Me lo sono chiesto più volte: la verità è che non voglio scegliere, ma rivendicare una doppia identità”. Hasnain Abbas Bhatti, nato in Pakistan, è arrivato in Italia nel 2003. Da sempre vive a Carpi, in provincia di Modena. Oggi ha 24 anni, gli manca poco alla laurea in ingegneria gestionale, è titolare di due uffici Caf e Patronato, è impegnato nel volontariato e in politica, fa parte della Consulta per l’integrazione di Carpi ed è un musulmano praticante. Il 21 dicembre scorso è diventato italiano: “Ci sono voluti 4 anni e sette mesi di pratiche burocratiche”. Spesso si è sentito straniero. “Alle elementari, mi sono presentato con una tuta rosa. Gli altri bambini si sono messi a ridere. Non capivo. In Pakistan il rosa non è associato alle ragazze. Poi ricordo una professoressa con cui discutevo che mi chiese: “Le donne le trattate così nel tuo Paese?”. Ma il mio Paese è l’Italia!”.





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