“C’è sorpresa e condanna solo quando la donna muore, prima c’è assuefazione e silenzio”. Ecco le parole di Paola Di Nicola, giudice della sesta sezione penale della Cassazione, che ha dedicato la sua vita proprio a capire e risolvere questo problema.
Un’altra donna uccisa. Che aveva denunciato le minacce dell’uomo. Ma è morta lo stesso. A coltellate. Che impressione le fa?
“Come donna e come giudice mi sento profondamente ferita. Questi casi non devono assolutamente essere classificati come episodi di cronaca nera, ma come esempi di cronaca culturale di un Paese che continua a vedere le donne morire”.
Cambiano i governi, ma sui femminicidi la storia resta uguale. Promesse di nuove leggi, ma le donne vengono ammazzate lo stesso. Lei è un’esperta. Come se lo spiega?
“La ragione sta nel fatto che c’è una radice culturale di sostanziale tolleranza nei confronti della violenza contro le donne. Questo in ogni contesto e in ogni ambito. Non c’è mai riprovazione sociale se non il giorno in cui quella donna muore, ma quello che accade prima e il clima di sopportazione da parte di tutti della violenza di quell’uomo verso quella donna, ebbene di questo non si parla mai. È questa la base su cui nascono e crescono, e continueranno a moltiplicarsi, i femminicidi, se non riusciremo a cambiare la mentalità in anticipo”.
Mi scusi, ma il punto è sempre uguale, alla denuncia non segue un’azione concreta delle polizie e dei magistrati. C’è un ostacolo tecnico? Il garantismo copre pure questi assassini?
“Abbiamo uno dei sistemi più efficaci ed efficienti di contrasto della violenza verso le donne. L’unico e serio problema è che le norme non sono applicate in maniera adeguata e da personale formato e competente. Per questo l’Italia è stata condannata negli ultimi due anni per quattro volte dalla Corte europea dei diritti umani per sostanziale tolleranza e passività della magistratura rispetto ai reati di violenza contro le donne”.
Una donna viene minacciata dal suo compagno, fidanzato o marito che sia. Va alla polizia e cerca un aiuto. E non succede mai nulla come dimostrano gli ultimi casi di cronaca.
“E sono proprio quelli in cui evidentemente non ha funzionato qualche segmento del sistema istituzionale, sociale, culturale, familiare. All’opposto sono molti i casi in cui le donne vengono tutelate e protette dalle forze dell’ordine quando queste vengono adeguatamente formate e sono seguite dai centri antiviolenza”.
C’è una cultura maschilista nelle polizie che porta a sottovalutare le denunce di violenza?
“Questa cultura è diffusa in tutta Italia e in tutti i contesti, non riguarda di certo esclusivamente la sola polizia. Quindi ognuno di noi, da questo punto di vista, deve farsi un esame di coscienza”.
La senatrice Bongiorno insiste con i tre giorni obbligatori per l’intervento subito dopo la denuncia, ma poi la donna non viene creduta. Perché Nordio non fa partire delle azioni disciplinari per la mancata tutela e il rispetto della legge?
“Innanzitutto ci auguriamo che il ddl governativo sottoscritto dai ministeri delle Pari opportunità, dell’Interno e della Giustizia abbia una corsia preferenziale. Ma quello di cui abbiamo bisogno non sono certo le azioni disciplinari, ma innanzitutto una legge che preveda la formazione obbligatoria per i magistrati e per le forze di polizia”.
Go to Source