La pasta in bianco a 26 euro e gli altri piatti finto-semplici: quando nulla si crea e tutto si rinnova

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Una pasta in bianco divide e fa discutere Milano: è quella di Portrait 10_11, uno dei piatti firma di Alberto Quadrio già presentato al vernissage del nuovo indirizzo dove ritrova vita l’antico seminario arcivescovile. Il dibattito si è acceso negli ultimi giorni, in particolare per il prezzo del piatto: 26 euro à la carte. Fin qui la cronaca. Ma il viaggio nelle paste in bianco milanesi in realtà è molto più ampio e piuttosto affascinante, a partire da quella del maestro per eccellenza, Gualtiero Marchesi, che agli albori del nuovo millennio lanciò la scommessa di farne una referenza gourmet all’insegna della semplicità: quattro diversi formati di pasta e un filo d’olio a completare il tutto.

Avvertenza d’obbligo: il concetto di pasta in bianco non è un dogma fisso (considerando, nel senso più stretto, la sola pasta al burro o all’olio, nemmeno questi due ingredienti sono presenti nella pasta di 10_11 su cui si è contrato il dibattito degli ultimi giorni). Invece, allargando il campo d’azione, ecco che si schiudono molte più possibilità. Partiamo da un dato di fondo: storicamente, la pasta al burro più diffusa a Milano sono i ravioli, mutuati dal vicino Piemonte per il transito intermedio della tradizione pavese (dove non esiste la declinazione dei plin e hanno un tenore inferiore di rosso d’uovo nell’impasto). Il condimento burro e salvia, direbbero a Roma, “è la morte sua”, e nelle metropoli meneghina le trattorie continuano ad essere depositarie della loro diffusione in questa loro versione più semplice.

Ancora sull’asse Lazio-Lombardia, non va sottaciuto l’approdo in terra meneghina della cacio e pepe: dal dna laziale, è anch’essa una sorta pasta in bianco ricca che, nella versione gourmet, si presenta a geometrie infinitamente variabili. Ad esempio, Paolo Lopriore (oggi al Portico di Appiano Gentile, via Volta 1 e unico italiano ad aver raggiunto il quarto gradino del Bocuse d’Or nel 2001) ha spopolato in anni recenti con i suoi elicoidali cacio e pepe, con un’inversione della spolverata di Pecorino alla base del piatto (e non sopra, come di consueto).

DA “LOCALE” CON IL BURRO DI MALGA AROMATIZZATO

Iniziamo da una pasta al burro che, da Locale (via Domenico Cirillo 12), è diventata un simbolo: un’attualizzazione della tradizione, sintetizzata in un pacchero fresco fatto di semola e uova di galline allevate all’aperto. Cotta in acqua, non viene risottata ma condita a freddo con il burro chiarificato, montato a mano nel ghiaccio, aromatizzato con diverse erbe e reso in crema. Una volta scolata, la pasta è completata con la raspadura lodigiana e, appunto, con la crema di burro. Il piatto costa 18 euro, creatori della ricetta sono Alessandro Dheo e Stefano Murgia.

UNA CACIO E PEPE LOMBARDA

Altra cacio e pepe da citare è quella di Sara Preceruti (lombarda doc, originaria di Castello d’Agogna), che precisa: «Questa è cacio e pepe a modo mio», quindi in linea con il suo stile-libero e con una sapidità mitigata dalla dolcezza del chutney, in pratica un’altalena continua di sapori e anche di consistenze (lo spaghetto fatto in casa è morbido, la quinoa soffiata è croccante). Gli ingredienti di congiunzione seguono la stagionalità. In carta ad Acquada (via Villoresi 16) a 22 euro.

PORTRAIT 10_11 E “LA MIA IDEA DI PASTA IN BIANCO”

In questo momento è decisamente la più nota della città: per il menu del 10_11 a Portrait (corso Venezia 11), Alberto Quadrio ha reinterpretato ne “La mia idea di pasta in bianco” un piatto cucinato spesso dalla nonna, con una ricetta che nasce, quindi, da suoi ricordi d’infanzia. Viene realizzata utilizzando gli scarti del Parmigiano Reggiano 36 mesi con l’intento dichiarato “di giocare su sapori netti e con la volontà di far riemergere nei commensali anche il più piccolo ricordo legato a quand’erano bambini”. In menu a 26 euro.

STENDHAL: NON BURRO MA OLIO, AGLIO E PEPERONCINO

Olio, aglio e peperoncino: anche in questo caso, pochi ingredienti per un’altra versione ancora della pasta in bianco. È uno dei piatti che sta andando per la maggiore allo Stendhal, indirizzo storico e gettonato da oltre 35 anni sulla piazza milanese (via Ancona, angolo via San Marco). Alassane Diop utilizza l’integrale De Cecco, non è eccessivamente piccante e rappresenta la sintesi della semplicità: gettonatissima dagli stranieri, ma anche dai clienti fissi che lo scelgono come piatto “tranquillo” che ricorda la schiettezza della cucina di casa. 12 euro.

LA VERSIONE CONTEMPORANEA DI NATALINI AD AUTEM

Tra pochi giorni, il 5 maggio, aprirà in via Serviliano Lattuada 2 il nuovo Autem di Luca Natalini: per lo chef, la pasta in bianco è molto più di un piatto-firma, ma un autentico banco di prova goloso, già ai tempi di quando reggeva il timone delle cucine al Pont de Fer. Alla base una preparazione a base di Vermouth alle prugne, aceto di riso e alloro bruciato. Lo spaghetto è presentato bianco, senza guarnizioni o salse: un disegno essenziale che cela una sorprendente possenza di sapore, ricco e poliedrico tra acidità, alternanza dolce-amara e toni fruttati. Sarà in menu a euro. Non ordinabile separatamente dal menu degustazione (prezzo di tutto il percorso, 130 euro per 8 portate).

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