La “presidente operaia” e la cooperativa del fashion che visse due volte

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Son già resuscitate una volta e sono fortemente determinate a farlo una seconda. Hanno una presidente-operaia, una quota azzurra e la capacità di produrre, dal taglio all’ultimo bottone, abiti bellissimi. Ma le socie del Centro Moda Polesano la cifra necessaria ad acquistare un paio di quei capi –  corrispondente più o meno ad un anno di lavoro – hanno dovuto impegnarla per mantenere in vita la loro l’azienda.

Stienta è un paese di tremila abitanti in provincia di Rovigo. Economia rurale, poche piccole imprese e una cooperativa di donne che lavora con i marchi più noti dell’alta moda. Fashion al top,  griffe italiane e internazionali che riempiono le riviste e i mercati del lusso. Eppure tre anni fa quella che allora si chiamava Capa (Cooperativa polesana abbigliamento) è fallita.

Non tanto per la crisi del settore, quanto per un tentativo di diversificazione nell’immobiliare – voluto dai vertici e finito male –  che le sessanta dipendenti  di allora pagarono sulla loro pelle perdendo un bel po’ di stipendi.  In ventidue, però, decisero che non poteva finire così e dalle ceneri della Capa è nato il Centro Moda Polesano.

“Abbiamo fatto un working by out, anche se allora  non sapevamo nemmeno di cosa si trattasse – dice Claudia Tosi, presidente della nuova cooperativa –  Ci siamo ricomprate l’azienda grazie all’anticipo delle nostre Naspi. Legacoop ci ha aiutato, la Banca Popolare Etica ha creduto in noi. Non è stato facile, mettevano in gioco più o meno 20 mila euro a testa, soldi necessari alle nostre famiglie.  Qualcuna ha dovuto discutere, altre sono state invece incoraggiate. Io stessa ho un po’ tentennato quando si è trattato di decidere se entrare o meno nella nuova cooperativa. Ma questo lavoro, questo posto, mi piacevano troppo e le alternative erano veramente poche”.

 Fin qui la prima resurrezione dell’azienda, ora è in via di definizione la seconda. Ad un anno appena dal debutto, il Centro Moda Polesano ha dovuto fare i conti con il Covid. Altra fase nera: cassa integrazione, crisi di un intero settore, sconforto. “Ma adesso qualcosa si sta muovendo,  noi  speriamo di ripartire e fare nuove assunzioni. La nostra forza sta nella qualità del lavoro e nel riconoscimento avuto dai clienti. Hanno creduto in noi nei momenti più bui, hanno aspettato che ci riprendessimo quando, nel passaggio fra vecchia e nuova azienda, siamo rimaste ferme quasi per due mesi. Ora la domanda sembra si stia riprendendo, vogliamo farcela”.

 In cooperativa, spiega  Tosi, tutte sanno tutto: sono una trentina, un solo uomo, (“ha 24 anni ed è la nostra quota azzurra”). Età media sempre sui 50 anni, ma ci sono anche giovani donne, tre  incinta. “Io sono la presidente-operaia – racconta Tosi –   ma ci aiutiamo tutte. Non ho mai smesso di stare in produzione. Mi occupo delle rifiniture finali, fatte a mano con ago e filo: qui arriva la stoffa e le indicazioni sul modello, a tutto il resto ci pensiamo noi. Il capo quando esce deve essere inappuntabile, già nelle buste, campionario perfetto.

Sono abiti fantastici: quando poi li vediamo cercando le sfilate su Google siamo orgogliose di tanta bellezza. Se ci viene voglia di indossarli? Sono taglie da top model, anche se sì, è capitato che la più giovane e magra di noi abbia provato un modello per  metterne a punto un dettaglio. E’ tutto puro artigianato italiano di qualità. Certo, ci piacerebbe fosse valorizzato meglio, anche dal punto di vista economico”

Lo stipendio medio al Centro Moda Polesano è di 1.200 euro. “Il contratto dei tessili è quello che è,  anche per questo fatichiamo a trovare giovani che vogliano lavorare con noi. Le ragazze studiano da stilista e non vogliono venire qui a fare le operaie, hanno paura di restarlo per sempre. Qui non lavoriamo sull’ordito, il tessuto arriva bell’è fatto. Ma ci sono macchine, come quella per inserire i bottoni a pressione, che possono frantumarti una falange e con quelle che tagliano i tessuti puoi perdere un dito. Un po’ le capisco le ragazze che vorrebbero solo creare e guadagnare, ma cerco anche di spiegare loro  che prima di disegnare un abito devi saperlo tagliare”.

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