La prima estate senza sci, i ghiacciai in agonia alzano bandiera bianca

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GHIACCIAIO DELLO STELVIO – Sono stati immensi, bianchi e spesso azzurri come il cristallo. Oggi attorno all’Ortles i ghiacciai sono rattrappiti e grigi, quasi sempre neri come il catrame. Dove si gelava anche in agosto ora si suda già in maggio, colpiti dal vapore che sale da una piastra arroventata. La neve a inizio primavera superava spesso gli otto metri. Nell’ultimo inverno non è andata oltre i novanta centimetri. L’anno più crudele della catastrofe climatica che sconvolge la natura in alta quota, segna sulle Alpi un primato minaccioso anche per comunità ed economia: per la prima volta tutti i ghiacciai e le località turistiche dove in estate si poteva sciare, sono stati costretti a chiudere le piste.

L’esplosione dello sci alpino

Dagli anni Trenta del Novecento e poi dal dopoguerra, quando lo sci estivo è esploso sull’arco alpino, non era mai successo. Per quasi un secolo milioni di sciatori, tra luglio e agosto, hanno girovagato tra una ventina di stazioni in Francia, Svizzera, Austria e Italia. Un ricordo: ritiro del ghiaccio, assenza di neve, temperature tropicali e rischio di crolli hanno costretto ad alzare in massa bandiera bianca i ghiacciai francesi di Le Deux Alpes e Tignes, oltre quota 3600 metri; quelli svizzeri di Saas Fee e Piccolo Cervino, quota 3883; gli austriaci Hitertux, Stubai, Soelden, Ramsau e Kaprun; gli italiani Stelvio, Presena, Val Senales e Plateau Rosa, quota 3500 sopra Cervinia. Simultaneo stop alle discese servite da impianti di risalita anche in Norvegia e in Islanda. Risultato: oggi nessuno in Europa può scendere con gli sci da un pendio innevato e battuto. Il ghiacciaio dello Stelvio, tra Lombardia, Alto Adige e Svizzera, in trent’anni si è abbassato di oltre quaranta metri. Turisti, maestri e campioni delle nazionali, da Zeno Colò ad Alberto Tomba e a Sofia Goggia, si sono sempre incrociati sulle sciovie che salgono fino a quota 3450. Nell’unica stazione sciistica al mondo aperta solo d’estate, gli ultimi skilift hanno chiuso il 20 luglio.

La neve ormai scomparsa

La neve è scomparsa, nel ghiaccio si aprono crepacci nuovi, quelli vecchi all’improvviso si allargano. Troppo pericoloso, dopo la strage di un mese fa causata dal crollo di un seracco sulla Marmolada, tenere aperto. “Provo paura e rabbia – dice Gustav Thoeni, 71 anni, il più vincente e completo fuoriclasse dello sci italiano, nato sportivamente sulle piste dello Stelvio – ma prima ancora tristezza. Il mondo bianco che ho conosciuto da bambino scompare sotto i miei occhi, ma chi ha il dovere e il potere di salvare la terra non fa niente di concreto. È tempo che certi impegni e il loro rispetto diventino il presupposto delle nostre scelte politiche: rinascessi oggi la mia vita sarebbe peggiore e probabilmente non riuscirei più a vivere qui”.

Lo sci estivo bloccato

I campioni attuali della Coppa del Mondo e i ragazzini degli sci club sono stati costretti a interrompere allenamenti e stage. Conseguenze paradossali: gli atleti dello slalom, italiani compresi, preparano oggi le gare lungo i pochi metri di tracciati protetti dal caldo sotto due capannoni refrigerati, a Landgraf in Olanda e a Peer in Belgio. Dalle grandi montagne i discesisti europei dell’estate, in attesa delle costose trasferte verso l’inverno di Argentina e Cile, sono costretti a una transumanza sportiva fino alle pianure dei Paesi Bassi, sotto il livello del mare. “Incredibile – dice Giacinto Sechi, da 47 anni operaio sulla funivia dello Stelvio – qui il problema è sempre stato l’eccesso di neve e di ghiaccio da scavare. Ora restano pietre e si finisce a sciare dentro frigoriferi che divorano energia, come se fossimo gli emiri di Dubai”.

Al rifugio Livrio, 3174 metri e 11 gradi sopra zero, salgono così oggi solo gruppi di curiosi a piedi nudi e in sandali di gomma, decisi a fotografarsi davanti al simbolo dell’agonia della natura alpina innescata dall’accelerazione del surriscaldamento del clima. In scena va il test di un cannone di ultima generazione capace di sparare schegge di acqua gelata anche ad alte temperature.

“Non servono per innevare il ghiacciaio – dice il gestore Andrea Capitani – ma per bloccare i piloni degli skilift: sono ancorati nel permafrost, non nella roccia, lo scioglimento minaccia di farli cadere”. Questo circuito chiuso della disperata lotta contro l’estinzione degli ultimi ghiacciai alpini dello sci d’agosto, è impressionante. I torrenti del disgelo corrono a valle, dove l’acqua genera energia elettrica. Grazie a questa, lo stesso liquido viene ripompato in quota e ritrasformato in neve per rinviare la fine certa di un’economia idrica che solo allo Stelvio vale mille posti di lavoro e la vita di tutte le famiglie rimaste in montagna. Sommata a scarsità di precipitazioni e caldo, l’emergenza che ha inferto il colpo finale è l’umidità. Dalle pianure surriscaldate a oltre 40 gradi il vapore avvolge ormai i ghiacciai e come in Himalaya abbassa il punto di rigelo. “Con un’umidità del 10% e l’aria a zero gradi – dice Umberto Capitani, direttore delle funivie dello Stelvio – l’acqua ghiaccia a meno 0,6 gradi. Se l’umidità esplode al 90% oltre quota 3000 metri, come nelle ultime settimane, per il rigelo occorrono 5,6 gradi sottozero”.

Una condanna a morte, come se nel mare si esaurisse l’acqua. Sulle Alpi è già così e si corre ai ripari cercando di adattare le piste dello sci estivo alle biciclette, al debutto su ciò che resta dei ghiacciai. L’incubo però è che si finisca presto a fingere di sciare sotto metropolitani capannoni-frigo anche in inverno.

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