La ricetta di Draghi per l’Ue: “Servono nuove regole e più sovranità condivisa”

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MILANO – Può un’Unione monetaria sopravvivere senza un’unione fiscale? Con la madre delle domande per chi osserva i fatti economici europei torna sulla scena Mario Draghi, ex presidente del Consiglio italiano e banchiere centrale europeo dal 2011 al 2019. In un intervento sull’Economist, l’ex governatore dà una ricetta esplicita: nell’Eurozona servono “nuove regole e più sovranità condivisa”.

Per Draghi, “le strategie che nel passato hanno assicurato la prosperità e la sicurezza dell’Europa, affidandosi all’America per la sicurezza, alla Cina per l’export e alla Russia per l’energia, sono diventate insufficienti, incerte o inaccettabili”. E quindi, mentre infiamma il dibattito sul nuovo Patto di Stabilità che s’intreccia con la scrittura della manovra del governo Meloni, sul fronte delle politiche di bilancio “tornare passivamente alle vecchie regole sospese durante la pandemia sarebbe il risultato peggiore possibile”. Di contro, “rendere l’Unione più stretta si rivelerà l’unico modo per garantire la sicurezza e la prosperità tanto agognate dai cittadini europei”.

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Ma cosa significa accelerare con l’Unione fiscale, oggi? Per Draghi è superato il tempo in cui si vedeva semplicemente come un trasferimento di risorse dai Paesi ricchi a chi attraversa fasi di crisi. Due passi hanno aperto la strada per un’Eurozona fiscalmente più solidale. In primo luogo, ricorda l’intervento, dal 2012 la Bce si è dotata di strumenti che livellano il differenziale dei costi di finanziamento tra Paesi, dando ai singoli governi uno scudo anti-ciclico che rende meno urgenti i trasferimenti diretti tra Paesi. In secondo luogo, gli ultimi choc (dalla Pandemia alla guerra in Ucraina, con la conseguente crisi dei prezzi) hanno riguardato tutti: non più crisi dei Piigs o della ‘periferia’, si potrebbe parafrasare, ma eventi che hanno cementato risposte comuni.

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Draghi ricorda (all’Italia?) che una condizione “politica” per una Ue più federale economicamente è che i Paesi che hanno beneficiato del Recovery lo usino con successo. Ma poi aggiunge che le sfide attuali – Difesa, transizione verde, digitalizzazione – non hanno una strategia comune di finanziamento. Ma sono troppo grandi e globali perché se ne facciano carico i singoli Paesi.  “Ciò contrasta nettamente con l’America, dove l’amministrazione di Joe Biden sta allineando spese, norme e incentivi fiscali al perseguimento degli obiettivi nazionali. Se non agisce, c’è il serio rischio che l’Europa non raggiunga i suoi obiettivi climatici, non riesca garantire la sicurezza richiesta dai suoi cittadini e perda la sua base industriale a favore di regioni che impongono meno vincoli”. Ed è qui che ricorda come “ritornare passivamente alle vecchie regole fiscali – sospese durante la pandemia – sarebbe il peggior risultato possibile”. Concetto caro al ministro Giorgetti, che si batte per escludere questi investimenti dal deficit. 

Draghi esclude che queste sfide si possano risolvere allentando le regole fiscali e sugli aiuti di Stato in modo che ogni Paese possa fare da sé. La proposta di revisione delle regole da parte della Commissione Ue va nella giusta direzione. Ma il ragionamento di Draghi, per tenere insieme il rigore e la flessibilità richiesti dal momento storico, va oltre. La convivenza di rigore e flessibilità può esserci “solo trasferendo maggiori poteri di spesa al centro, il che a sua volta rende possibili regole più automatiche per gli Stati membri”. E torna a richiamare l’America, dove un governo federale con grandi possibilità si affianca a Stati sottoposti a regole inflessibili, con un divieto di fatto a gestiore il deficit. “Se l’Europa dovesse federalizzare parte della spesa per gli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi condivisi di oggi, potrebbe raggiungere un equilibrio simile – dice Draghi – L’indebitamento e la spesa federale porterebbero a una maggiore efficienza e a un maggiore spazio fiscale, poiché i costi di indebitamento aggregati sarebbero inferiori. Le politiche fiscali nazionali potrebbero quindi concentrarsi sulla riduzione del debito e sulla creazione di riserve per i periodi di crisi”. Concetti ancor più utili nel momento in cui si pianifica l’allargamento Ue per includere Balcani ed Ucraina: “Tali riforme significherebbero mettere in comune una maggiore sovranità e richiederebbero quindi nuove forme di rappresentanza e un processo decisionale centralizzato”. 

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