La rifondazione dei Baustelle: “Primordiali come gli Stones e sempre antifascisti”

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Altro che Tupelo, Memphis, Las Vegas. Quello è l’orizzonte, certo. Ma la scintilla per Elvis, il titolo del nuovo album dei Baustelle in uscita il 14 aprile, arriva da molto più vicino. “Ero imbottigliato nel traffico tra Salerno e Napoli. Davanti a me c’era una Bmw anni Settanta, il Vesuvio sullo sfondo. Ho fatto una foto e mi sono detto: questa è la copertina di un disco che avrà un suono italo-americano. E che si chiamerà Elvis”, dice Francesco Bianconi che da una primaverile e assolata Milano, seduto su un divano con Rachele Bastreghi, racconta del ritorno della band.

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“Preferiamo rifondazione. Abbiamo rifondato i Baustelle. Avevamo bisogno di stimoli nuovi altrimenti saremmo rimasti in stand by chissà per quanto”. In pausa dopo i rispettivi album solisti, in pausa dopo la pandemia. “L’obiettivo era essere radicali, primordiali. Ci sono cose che nei dischi dei Baustelle non c’erano mai state”. I fiati, i cori gospel, la gioia e l’energia del rock anni Settanta: Lou Reed, Dylan. “Ma anche Gaber, Jannacci, Battisti: tutti coloro che in Italia sono riusciti a fare rock. Avevo paura di andare in quella direzione. Poi me ne sono fregato”.

Stesso trattamento per ogni forma di diplomatica comprensione del presente. Da Milano è la metafora dell’amore, il secondo singolo tratto dal disco: “Milano è la metafora dell’amore. Di tutto ciò che cambia, della vita che va. Da sola contro il mondo di fascismo e squallore sta”. “Siamo antifascsti, nessuna vergogna a dirlo. Magari lo affermasse anche il governo in carica”. E non è l’unica professione strettamente politica del disco. Di Andiamo ai rave, basta il titolo, “anche se l’abbiamo scritta prima di quel decreto”. E in Betabloccanti Cimiteriali blues, riscrivendo la Storia a la Philip Dick, Bianconi canta che: “Benito torna ragazzo, non rompe il cazzo e non se ne parla più”. Più chiaro di così.

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Canzoni allo stesso tempo – e la possibilità di questa contemporaneità da sempre definisce i Baustelle – disperate e politiche, eticamente struggenti. Un’etica della canzone che ha una prassi: “Il rock and roll è un lavoro: va bene la notte, l’ispirazione. Ma poi bisogna organizzare la creatività. Quindi si prova a orari prestabiliti, con puntualità, le cose si preparano bene”. E cha ha anche un nume tutelare: “Franco Battiato: lo citiamo nel disco come se fosse una divinità da non toccare. Siamo contro i suoi imitatori che sono pomposi, tronfi, retorici. Per non incappare in questo rischio abbiamo fatto un disco pensando ai Rolling Stones”.

Un disco che con un nuovo abito sonoro contiene esempi di pura baustellità. “Ci ho fatto pace, mi rendo conto di scrivere sempre la stessa canzone: parlo delle tragicomiche avventure degli esseri umani. E del resto se immagino Elvis Presley non posso non pensare alla storia di un disfacimento”. Come quello cantato in Los Angeles, dove convivono Montale e Bowie, la guerra in Ucraina e i bar di periferia.

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O come in La nostra vita, dove in un ritornello imparabile, Bianconi e Bastreghi cantano: “Fine dell’estate della nostra vita, sembrano rimaste solo sigarette spente e un gigantesco niente. Notti sconsacrate senza via d’uscita eppure illuminate da una scritta al neon gigante: Io ti amerò per sempre”. Canzoni cinematografiche. “A proposito, ho una mia ossessione, acuita negli ultimi tempi”, Bianconi prima dei saluti: “Leggo e rileggo le trame dei film nelle riviste specializzate. Non ne riesco a fare a meno”. Ben altre le ossessioni preoccupanti nell’Italia del 2023. 

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