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La Ue dopo Bucha prepara nuove sanzioni. E Berlino ipotizza lo stop al gas russo

ROMA – L’orrore di Bucha alza il livello delle sanzioni europee alla Russia. Le immagini fanno inorridire le cancellerie, sdegnano Bruxelles e sembrano in grado di aprire per la prima volta una discussione sullo stop al gas di Mosca. Il quinto pacchetto di sanzioni è «in arrivo», annuncia il presidente del Consiglio europeo Charles Michel. La discussione era già in corso e un round di consultazioni, anche sull’invio di altre armi e aiuti, riprenderà oggi. Nel ventaglio delle possibilità ci sono nuovi interventi sull’accesso ai pagamenti internazionali delle banche russe, sul divieto di ingresso delle navi nei porti occidentali e sul blocco della fornitura di materiali e apparecchiature tecnologiche. Ma da Berlino la ministra della Difesa Christine Lambrecht dice che è ora di iniziare a parlare seriamente di sanzioni energetiche, incluso lo stop al metano. Il governo italiano è più prudente, ma se l’Ue vaglierà lo stop alle forniture, assicura il ministro Luigi Di Maio, «non si volterà dall’altra parte».

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«Discuteremo da oggi com’è possibile irrigidire ulteriormente le sanzioni», dice alla vigilia dell’Ecofin il ministro dell’Economia tedesco Christian Lindner, in asse con il cancelliere Olaf Scholz e la ministra degli Esteri Annalena Baerbock. La titolare della Difesa si spinge oltre, ipotizzando la chiusura dei rubinetti del gas cui finora Berlino ha opposto un fermo “no”. Ma Kiev all’Ue e al G7 chiede con insistenza «un embargo su petrolio, gas e carbone». Una richiesta che vede favorevoli i tre Paesi baltici. Anzi, la Lituania fa da sé e ha già bloccato le importazioni. Prosegue intanto il «ricatto» di Mosca, con il Cremlino che da un lato rassicura gli europei e dall’altro annuncia la richiesta di pagamenti in rubli anche per altre materie prime oltre al gas. Ma una decisione dei 27 è tutt’altro che facile o scontata, perché la chiusura dei rubinetti – il 40% del gas europeo arriva dalla Russia – precipiterebbe il Vecchio Continente in uno scenario da austerity energetica. Una scelta difficile, a pochi giorni dalle presidenziali, anche per la Francia che ha lo scudo dell’energia nucleare.

E l’Italia? Sul blocco al gas resta prudente. «Se con l’Europa si dovesse decidere di andare in quella direzione non saremo certamente noi a frenare, ma non vedo accelerazioni», dice un autorevole ministro. È la linea di Palazzo Chigi: ci si muove in sintonia con Bruxelles, valutando ogni conseguenza dello stop alle forniture. Il premier Mario Draghi, che in settimana potrebbe tornare a sentire Vladimir Putin, ha ammesso il dilemma etico di continuare a riempire le casse di Mosca. E perciò lavora su un doppio binario: diversificare le forniture italiane (andrà presto in Algeria) e spingere per un tetto europeo ai prezzi del metano.

Di questo tema potrebbe discutere un Consiglio europeo straordinario a fine mese, che però non è ancora convocato. E la partita resta in salita. Di Maio riconosce che potrebbe piuttosto aprirsi nelle prossime ore una discussione seria sulla interruzione totale delle forniture russe: Roma, che finora si è fatta scudo del “no” tedesco all’embargo, non si tirerebbe indietro. «L’Italia non mette alcun veto» sulle sanzioni, dice più in generale il ministro degli Esteri, e sul gas il governo lavora per «liberarsi dai ricatti russi».

L’avvicinarsi dei mesi più caldi, ammette un ministro, renderebbe più sopportabile per il nostro Paese uno stop alle forniture. E dalla maggioranza Enrico Letta incalza perché ci si muova subito, senza troppe prudenze: «Quante Bucha dobbiamo ancora vedere prima di muoversi verso un pieno embargo di petrolio e gas russo? Il tempo è finito», twitta il segretario Dem, con una linea sostenuta dalle dichiarazioni di tanti esponenti Pd e di Pier Ferdinando Casini, ma non dagli altri leader politici («Si facciano proposte serie», dice Carlo Calenda), né da alcun ministro. Il Nazareno è convinto però che, a dispetto di ogni timore, l’embargo totale sia l’approdo inevitabile, cui tutta l’Unione europea dovrebbe iniziare a prepararsi: dunque «basta compromessi, per l’Italia non può essere una decisione altrui cui accodarsi».



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