La valvola del cuore? Si aggiusta con la tecnica “origami”

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Come un meccanico che debba riparare un’auto ottine un risultato ottimale con i pezzi originali, così il cardiochirurgo dovrebbe avere a disposizione tessuti del paziente per effettuare i migliori interventi di riparazione delle valvole del cuore. Questo approccio, mescolato all’antica arte giapponese diventata innovazione, è alla base della tecnica di sostituzione della valvola aortica degenerata che vede lo specialista diventare una sorta di “artista”, come avviene per la realizzazione di preziosi origami. A mettere a punto questa metodica è stato Shigeyuki Ozaki. Ora, anche grazie alla cardiochirurgia italiana, si sa che l’approccio non solo è utile ed efficace, ma anche sicuro e in grado di dare risultati a distanza. Lo dicono i risultati dei pazienti trattati al Centro Cardiologico Monzino, pubblicati su Annals of Thoracic Surgery. L’esperienza del Monzino, la seconda più ampia a livello internazionale, ha dimostrato una mortalità intraoperatoria pari a zero e l’assenza di eventi avversi maggiori nel 97% dei casi. A 5 anni dall’intervento nessun paziente ha presentato recidive di vizio severo della valvola e nessuno ha dovuto essere rioperato. Ma non basta. I chirurghi del Monzino non solo utilizzano la tecnica Ozaki ma, come confermano i dati appena pubblicati su Journal of Cardiovascular Computed Tomography, sono in grado di conoscere in dettaglio la reale anatomia della valvola aortica patologica e la dimensione dei nuovi lembi che andranno a creare.

Una delle maggiori innovazioni in cardiochirurgia

“La tecnica Ozaki è una delle maggiori innovazioni in cardiochirurgia degli ultimi dieci anni e al Monzino siamo stati i primi a sperimentarla e svilupparla in Europa – spiega Gianluca Polvani, Direttore del Dipartimento di Chirurgia cardiovascolare del Centro Cardiologico Monzino e Professore di Cardiochirurgia dell’Università di Milano. I dati oggi ci danno ragione: la ricostruzione con tessuto del paziente ottiene gli stessi risultati dell’impianto di una protesi in termini di efficacia, con vantaggi indiscutibili per i pazienti. Il primo grande vantaggio è che la valvola ricostruita non corre il rischio di rigetto e permette al paziente di evitare di dover assumere la terapia anticoagulante dopo l’intervento. Inoltre, l’utilizzo esclusivo di tessuto con DNA proprio, promette una durata della neovalvola molto superiore a quella delle protesi biologiche tradizionali, basate su tessuto animale. Potremmo definirla una sostituzione valvolare biologica autologa”.

Grazie a questa tecnica infatti il chirurgo crea partendo dal pericardio, la membrana che avvolge e protegge il cuore, tre nuovi lembi aortici che, una volta impiantati sull’anello aortico del paziente, si comportano esattamente come i lembi originari. Durante l’intervento viene prelevato un segmento di pericardio dal paziente e, con un’apposita sagoma, da esso si ricavano e tre nuovi lembi, misurandoli con estrema precisione sulla morfologia della valvola aortica del paziente. I nuovi lembi valvolari vengono dunque “cuciti” sull’anello aortico per creare una nuova valvola e si comportano come quelli originali.

Valvole del cuore, quando, come e perché intervenire

La procedura messa a punto oltre dieci anni fa da Shigeyuki Ozaki, cardiochirurgo giapponese dell’Università di Tokyo, è stata alla base già di oltre 6000 interventi nel mondo. Ma da quella prima intuizione, come è ovvio, la ricerca è andata avanti. “L’ultima novità riguardo alla tecnica Ozaki – conclude Polvani – è la procedura “Promoter” (PRerative Ozaki Technique Measures On Tridimensional Engineered Root), i cui risultati sono appena apparsi sul Journal of Cardiovascular Computed Tomography. La nuova metodica è stata messa a punto dal team Monzino per ridurre i tempi di asistolia, cioè del periodo dell’intervento durante il quale il cuore del paziente rimane fermo e si rende dunque necessaria la circolazione extracorporea”. Come? Costruendo prima dell’intervento un modellino in 3 D della valvola in base ai dati della Tac, per poi procedere lavorando sulle indicazioni offerte da  questa “copia” guadagnando tempo durante l’intervento.

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