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L’allarme di Letta: “Così perdiamo Draghi sia al Quirinale che a Palazzo Chigi”

Roma. “A questo punto rischiamo di perdere Mario Draghi sia a Chigi sia al Quirinale”. Quando, alle 17,40 in punto, Enrico Letta entra in aula per votare ha lo sguardo cupo e il volto teso di chi osserva con sgomento il baratro che si è appena spalancato sotto i suoi piedi. Le trattative andate avanti per tutto il giorno non hanno dato l’esito sperato. E adesso – è il messaggio consegnato alla truppa – le chance di cadere e farsi tutti molto male sono cresciute in modo esponenziale.

Quirinale, il grande ostacolo

È preoccupato, l’inquilino del Nazareno. L’ottimismo manifestato appena 24 ore prima in Tv ha lasciato il posto a un umore nero come la notte che avvolge Montecitorio. Il centrodestra ha disseminato di tali e tante mine la salita di Draghi al Colle, che ora l’impegno del segretario del Pd a disinnescarle tutte potrebbe non bastare. Se n’è reso conto durante il faccia a faccia con Matteo Salvini e il lungo colloquio con il premier. Sono inaccetabili le condizioni poste dal leader della Lega, specie sul nuovo governo che sarebbe completamente da rifare. Significherebbe sconfessare il primo ministro e persino il presidente Mattarella, che solo un anno fa impose l’esecutivo d’unità nazionale proprio in quella composizione e con quella formula politica.

Perciò ora il segretario dem è in allarme. A nessuno ha voluto rivelare il contenuto della sua telefonata con Draghi, ma ai suoi ha fatto capire che l’ex capo della Bce potrebbe non restare se venisse eletto un capo dello Stato con una maggioranza meno larga dell’attuale e un profilo istituzionale non all’altezza del ruolo. “Ma il nostro Paese non può permettersi di dire al mondo che non riesce a tutelare la sua figura più prestigiosa, che si tratti di Palazzo Chigi o del Quirinale”, avverte Letta. Il danno d’immagine per un’Italia ancora in affanno, che però sta dando chiari segnali di ripresa grazie al lavoro e all’autorevolezza del presidente del Consiglio, potrebbe essere irreparabile. Non tanto per l’aggressione dei mercati, comunque sempre in agguato, quanto per il giudizio che ricaverebbero di noi sullo scenario internazionale.

Quirinale e governo, il nodo più intricato

Ragione in più per non mollare. Per proseguire nel tentativo di costruire un percorso che “preservi Draghi e al tempo stesso la legislatura”, ragiona Letta. Perché andare a elezioni adesso, con il Pnrr da attuare e la pandemia ancora da sconfiggere, sarebbe “un vero disastro”. Che lui intende scongiurare. Lo ha spiegato ai ministri e ai dirigenti di partito riuniti in serata al Nazareno. Il confronto con Salvini, che difatti rivedrà oggi, deve continuare finché non si troverà una soluzione condivisa. “È positivo che si sia riaperto un canale il dialogo tra leader e tra essi con Draghi”, riflette il segretario dem. “I margini per un accordo ci sono e non vanno sciupati”. Nonostante l’ostruzionismo del capo leghista: durante l’incontro a quattrocchi non sono stati fatti nomi, ma il centrodestra ha tutt’altro che archiviato la pretesa di proporre una propria rosa, assai caratterizzata, dalla quale il Parlamento dovrebbe pescare. Una provocazione, per Letta: determinato sì a dialogare e a mediare, ma non se l’indicazione cadrà su Elisabetta Casellati o Marcello Pera. “La strada è e rimane quella di un accordo su una figura di garanzia per tutti”, scandisce il leader dem. “Ostinarsi su nome di parte è esattamente ciò che mette a rischio la legislatura”.

Ma c’è anche un altro rischio da sventare. La candidatura di Pierferdinando Casini. Il segretario non lo ammetterà mai, ma quella dell’ex presidente della Camera potrebbe far deflagrare il Pd. Perché, su pressing di Matteo Renzi, un pezzo del suo partito è già pronto a votarlo. Come hanno suggerito ieri due senatori non proprio di secondo piano: l’ex capogruppo a Palazzo Madama Andrea Marcucci e Dario Stefano. Con Dario Franceschini segnalato già all’opera per costruirgli intorno il necessario consenso, insieme a Luca Lotti. Mentre per un altro pezzo di partito l’ipotesi è come fumo negli occhi.

“Si tratta di un’operazione neocentrista che mira ad aggregare quel che resta di Forza Italia, a spaccare il Pd e a diventare l’ago della bilancia di qualsiasi futuro governo, in vista del cambio della legge elettorale”, spiega un autorevole membro della segreteria. Un pericolo che Graziano Delrio ha subito avvistato: “La campagna acquisti per Casini è già cominciata”, sussurra in Transatlantico. Per l’inquilino del Nazareno un’altra grana sulla via del Quirinale.

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