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L’attività fisica durante la chemioterapia fa bene anche al cervello

Per le donne con un tumore al seno, fare attività fisica sembra fare bene anche al cervello. Aiuterebbe, infatti, a migliorare il cosiddetto “chemo brain”, un disturbo comune in chi ha ricevuto la diagnosi e che si manifesta con problemi di memoria o come uno stato di offuscamento spesso descritto come “nebbia”.

A dirlo è uno studio statunitense prospettico – cioè disegnato appositamente per osservare se, come e quanta l’attività fisica contrasti i problemi cognitivi associati alla diagnosi e alle cure per il cancro al seno. I risultati, che vi raccontiamo nella newsletter di Salute Seno (qui il link per iscriversi gratuitamente), sono pubblicati sul Journal of Clinical Oncology.

Diagnosi, chemio e problemi di memoria

I ricercatori hanno coinvolto 580 pazienti (con un tumore al seno in stadio precoce o localmente avanzato, ma non metastatico) di diversi centri oncologici, in menopausa e non, con un’età media di poco più di 50 anni. Inoltre hanno arruolato 363 donne che non avevano mai avuto tumori e che hanno rappresentato il gruppo di controllo. Tutte le pazienti sono state trattate con la chemioterapia: il 46% con antracicline, farmaci che sono associati a problemi cognitivi, e il restante 54% con altri regimi chemioterapici.

Chemo brain, l’effetto “collaterale” del cancro

Le capacità cognitive sono state valutate sia con misurazioni oggettive sia attraverso la percezione delle pazienti stesse, in tre diversi momenti: una settimana prima dell’inizio della chemioterapia, entro un mese dalla fine dei cicli e a distanza di sei mesi.

L’attività fisica “prescritta” dalle linee guida

Veniamo all’attività fisica. Quella raccomandata dalle società scientifiche consiste in almeno 2,5 ore a settimana (e fino a 5 ore) di esercizio aerobico moderato (che include anche la camminata veloce) o in almeno 75 minuti (e fino a 2,5 ore) di esercizio aerobico intenso (come il running). Oppure una combinazione delle due possibilità.

A questo vanno aggiunte due sessioni a settimana di esercizi per il rafforzamento muscolare. I ricercatori si sono basati su queste indicazioni per il loro studio e hanno comparato le capacità cognitive solo di chi le aveva rispettate.

Stesse performance, ma percezione diversa

E ora veniamo ai dati. Al momento della prima misurazione, prima dell’inizio della chemio, a rispettare le indicazioni era il 33% delle pazienti e il 43% delle donne del gruppo di controllo: i risultati delle misurazioni oggettive delle performance cognitive sono stati simili nei due gruppi, eppure – da notare – chi aveva ricevuto la diagnosi di tumore percepiva di avere più problemi cognitivi delle altre.

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Risultati migliori per chi è rimasto attivo

In ogni caso, le pazienti che fin dall’inizio facevano l’attività fisica consigliata hanno riportato performance cognitive più elevate delle altre, e i risultati migliori li ha ottenuti chi è riuscito a mantenersi attivo durante tutto il periodo delle cure. “Ora abbiamo delle evidenze sul fatto che seguire le indicazioni delle linee guida già prima di cominciare la chemioterapia porta dei benefici e sembra offrire una sorta di protezione nei confronti dei problemi di memoria e di attenzione”, ha commentato Michelle Janelsins della University of Rochester Medical Center, coordinatrice dello studio.

Personalizzare l’attività fisica: come fosse un farmaco

Molte altre ricerche fino ad oggi hanno dimostrato l’importanza dell’attività fisica per le pazienti con tumore al seno, al di là del chemo brain e dei problemi di memoria. E diverse società scientifiche e dello sport danno indicazioni specifiche per chi ha avuto un tumore, tra cui l’American Cancer Society e la European Society for Medical Oncology.

Ma è vero anche che queste indicazioni tendono tutte ad essere piuttosto generiche, come sottolinea Adriana Albini, docente di Patologia generale all’Università di Milano-Bicocca e direttore del Laboratorio di Biologia Vascolare dell’IRCCS MultiMedica, appena chiamata a dirigere il nuovo gruppo di lavoro dell’American Association for Cancer Research (AACR) dedicato alla prevenzione oncologica (il Cancer Prevention Working Group-CPWG).

Ma è possibile dare indicazioni più precise? Sapere quali esercizi è meglio fare in base persino al tipo di tumore, allo stadio di malattia e alle terapie che si seguono? Qualche studio che tenta di rispondere c’è, come Albini scrive anche su CancerWorld, la rivista che dirige. “Ma è difficile trovare finanziamenti per questo tipo di ricerche”, dice a Salute Seno: “Servono studi rigorosi che monitorino con continuità i parametri molecolari, il colesterolo, la glicemia, l’infiammazione e così via. Prima, durante e dopo esercizi mirati. Sono convinta che l’attività fisica debba essere studiata e prescritta come fosse una medicina. Che venga pensata per ciascuna persona, in base al suo metabolismo, alle sue caratteristiche e alle sue esigenze, come si sta cominciando a fare, lentamente, con la nutrizione”.

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Una cultura da cambiare

E, non di meno, c’è bisogno di capire come coinvolgere le pazienti e come applicare questi protocolli nel mondo reale, al di fuori degli studi controllati. “Serve soprattutto la formazione dei medici”, conclude Albini: “C’è una cultura da costruire, che dipende anche dalle risorse e dalla possibilità di investire nel personale”.



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