L’autunno dei capolavori

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Se il mese di settembre sarà mite, scaldato da un sole meno feroce di quello d’agosto, potrà accadere che se ne giovino le città d’arte. La stagione turistica si conclude con dati meno negativi dell’anno scorso ma ancora lontani dai livelli pre-Covid. I segnali positivi sono proprio per le città d’arte (+ 14%). Si può capire: che l’intera penisola sia disseminata di capolavori è cosa nota; la (relativa) novità è che molti italiani se ne sono finalmente resi conto; molti hanno compreso in misura ormai consistente, che girare l’Italia non vuol dire soltanto andare ad ammirare la tal cappella, il tal castello, il famoso affresco. L’Italia è un tessuto di capolavori che spesso non possono nemmeno essere racchiusi in un’opera specifica. Esistono un po’ dovunque borghi murati insigni nella loro struttura complessiva, nel reticolo di vicoli, nei minimi slarghi, negli affacci a precipizio su una vallata o su una vicina catena di monti. L’Italia ha la benedizione/maledizione di essere percorsa per intero da numerose catene montuose, non solo gli Appennini. Quale svantaggio questo abbia rappresentato nei secoli – soprattutto nelle comunicazioni, quindi nella politica – è cosa nota ma questo riguarda per lo più il passato. Oggi con una rete molto più efficiente di strade e una motorizzazione molto più sviluppata, il digradare di monti e colline dal centro della penisola in direzione dei due mari è rimasto un valore paesaggistico aggiuntivo. Un conto è ammirare una placida, estesa pianura, un altro ben diverso poter ammirare la fiancata boscosa d’un colle nel quale spicchi l’intarsio bianco d’un borgo, la mole turrita d’un maniero, il profilo aguzzo d’un campanile. Mentre scrivo queste righe penso in particolare alla Toscana e all’Umbria dove passo da anni i mesi estivi. Ho viaggiato in buona parte del pianeta, ho visto paesaggi grandiosi, ammirato sterminate campagne, laghi che parevano mari. Ma non ho mai visto altrove una natura come questa curata, addolcita, domata dal lavoro secolare degli uomini.

Poi ci sono ovviamente i veri e propri capolavori, non più il minuscolo borgo affettuoso come quello che raggiungo a piedi dalla mia casa nel bosco, ma le grandi testimonianze del passato. E allora Venezia, Milano, Mantova, Firenze, Siena, Bologna, Parma, Assisi, Napoli, Pompei e potrei continuare fino a riempire di nomi l’intera pagina. Da dove viene questo sterminato elenco di città d’arte che non ha uguali nel mondo? Viene dal passato, ovviamente. Testimonia la storia travagliatissima di questa penisola e degli italiani che l’hanno abitata prima di noi. La Francia, la Spagna, la Gran Bretagna sono state nazioni molto prima della dispersa Italia “espressione geografica”. Paesi retti da monarchie rapaci e avvedute quando l’Italia era ancora preda di chiunque volesse impossessarsene, divisa in una serie di territori minuscoli: il granducato, la contea, il feudo, il Comune, anche il Regno ma minuscolo anch’esso. Una terra magnifica sparita dalla scena internazionale, insignificante dal punto di vista economico e militare. È la “serva Italia” di cui hanno parlato i migliori intelletti, gli spiriti più alti di questo Paese: “Ma la gloria non vedo, non vedo il lauro e il ferro ond’eran carchi i nostri padri antichi”.

Questo passato umiliante, questa debolezza politica, s’è trasformata col tempo in un patrimonio d’arte e di bellezza senza pari. I grandi monarchi abbellivano le loro capitali. Gli insignificanti principi italiani davano il meglio al loro minuscolo dominio preparando, senza nemmeno saperlo, quel capolavoro complessivo che la penisola sarebbe diventata. Non c’è spiaggia tropicale, non c’è sconfinata distesa che valga uno dei nostri borghi, quei commoventi sfondi che ritroviamo intatti guardando un quattrocentista o semplicemente aprendo una finestra.

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