Lavoro, per la metà dei dipendenti gli orari sono “antisociali”. E uno su sei non è pagato per gli straordinari

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MILANO – Sei lavoratori su dieci fanno gli straordinari, ma il 15,9% di questi non vede crescere la sua busta paga di conseguenza. A conti fatti, dunque, circa un lavoratore su sei lavora nei tempi supplementari senza retribuzione. E’ il dato che mette in evidenza l’Inapp. Ma se di per sé è allarmante, rimane solo la “punta di un iceberg” che pesa come un macigno sui tempi di vita e lavoro di molti dipendenti.

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L’indagine Inapp Pluss di prossima pubblicazione svela infatti un problema ancora più grande.

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Orari “antisociali” di lavoro

Il problema degli straordinari non retribuiti, infatti, si inscrive nel più generale tema della regolazione dei tempi di vita e di lavoro che vedono emergere un dato allarmante: circa la metà degli occupati svolge la propria attività in orari che “si potrebbero definire antisociali”, sottolinea l’Istituto. Nello specifico, il 18,6% dei dipendenti lavora sia di notte che nei festivi (circa 3,2 milioni di persone), il 9,1% anche il sabato e i festivi (ma non la notte), mentre il 19,3% anche la notte (ma non di sabato o festivi). Gli uomini sperimentano di più sia il solo lavoro notturno, sia quello svolto sia di notte che nei festivi; le donne, invece sono impegnate più il sabato o nei festivi.

Il problema del part-time involontario

Dentro questo mondo c’è chi sta “ancora peggio”, dice l’Inapp. “Sono quei lavoratori che sperimentano allo stesso tempo sia un orario ridotto, non per scelta, sia la presenza di orari antisociali. Si tratta di circa 900mila dipendenti che, oltre ad avere un part time involontario, svolgono la propria attività la notte o nei festivi (quasi il 52% di chi ha un part time involontario e oltre il 27% sul totale degli occupati part time). E si pensi che a questi lavoratori subordinati vanno aggiunti molti lavoratori autonomi i cui i tempi di lavoro sono molto impegnativi perché legati all’esigenza della clientela”. E’ chiaro che questo ritmo di lavoro confligge sia con il lavoro di cura tra le mura di casa, sia con la possibilità di sincronizzare la propria vita con il resto della popolazione.

Restando al caso degli straordinari, è una prassi che riguarda “il 64,7% dei dipendenti uomini contro il 54,1% delle donne con motivazioni legate nella maggior parte dei casi (51,2%) a carichi di lavoro eccessivi e carenza di personale mentre solo il 18,4% dichiara di farli per guadagnare di più. C’è poi un 8,1% che dichiara di non potersi rifiutare”.

Sebastiano Fadda, presidente Inapp, ha commentato i dati sottolineando che “è vero che per alcuni settori economici, come il commercio o la sanità, e per alcune professioni, come quelle dei servizi, il lavoro notturno o nei festivi è connaturato alla natura della prestazione, ma è anche vero che questa modalità sembra diffondersi anche dove non è strettamente necessaria. È urgente avviare una seria riflessione sull’organizzazione e articolazione del tempo di lavoro, ma anche sulla sua quantità e distribuzione”.

Mentre l’evoluzione tecnologica porta con sé strumenti che dovrebbero consentire di aumentare la produttività (ma diventano anche armi a doppio taglio per la difesa dei tempi privati); mentre si ragiona di ridurre l’orario di lavoro, o addirittura si sperimenta con sempre maggiore diffusione la settimana di quattro giorni, “nel nostro Paese restano ancora da superare vecchi modelli di organizzazione del lavoro che incidono pesantemente sui tempi di vita – nota Fadda – Il mondo del lavoro è sempre più digitale, veloce, in costante evoluzione, ma per gran parte dei lavoratori “tradizionali” si presentano problemi ancora irrisolti sul piano della distribuzione degli orari di lavoro. La permanenza di usi e abitudini del passato prevale spesso sulla capacità di trovare soluzioni organizzative equilibrate, sia in termini di turnazione ove necessario, sia in termini di alleggerimento del peso dei vincoli di orario in generale, che consentano un bilanciamento sostenibile tra vita di lavoro e vita privata-sociale nella prospettiva del “lavoro dignitoso””.

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