Le imprese del Nordest tradite da Lega e Forza Italia: “Che errore su Draghi”

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VENEZIA – Traditi dai politici sempre in prima fila alle loro assemblee, lobbisti delle loro aziende e ospiti fissi alle loro cene. Gli industriali del Nordest, motore globalizzato dell’economia nazionale, ancora non riescono a credere, e ancor prima ad accettare, che l’ultima spinta contro il governo di Mario Draghi sia arrivata dalla Lega di Matteo Salvini e addirittura dal fondatore di Forza Italia, il simbolo popolare degli imprenditori Silvio Berlusconi. Migliaia, nelle ore che hanno preceduto quello che continuano a definire “ingiustificabile agguato”, le telefonate partite dalle imprese del Triveneto per tentare di convincere il centrodestra che sosteneva il governo a non inseguire il sovranista bisogno cronico di urne anticipate di Giorgia Meloni, cadendo nella trappola tesa sull’ultima spiaggia dei naufraghi cinquestelle di Giuseppe Conte. Vani i tentativi di salvare Draghi “proprio in giorni che sconvolgono il mondo e minacciano di far ripiombare anche l’Italia nella povertà e nell’instabilità sociale”.

Ai telefoni del centrodestra nessuno ha risposto e nemmeno l’assemblea straordinaria di Confindustria, convocata a furor d’associati da un imbarazzato presidente Carlo Bonomi, è riuscita a far dimenticare agli industriali “i rei del peccato originale che ha fatto crollare l’indice di affidabilità internazionale del nostro Paese”. Di “resa dei conti nelle urne”, con i sondaggi che anticipano un centrodestra a trazione Meloni-Fratelli d’Italia pigliatutto nel Nordest, nessuno parla più. Mai come questa volta però uno scottato mondo delle imprese è deciso a “pretendere di conoscere nel dettaglio e prima del voto il programma economico di chi ambisce a governare dopo il 25 settembre”, senza più concedere “crediti di sintonia culturale” a nessuno.

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“Salti nel buio – dice Enrico Carraro, presidente degli industriali del Veneto – non possiamo permettercene più. Il quadro è cambiato al punto che le nostre priorità non sono nemmeno più economiche in senso stretto. Al primo posto ora c’è l’adesione incondizionata dell’Italia alla Ue e al patto atlantico che ci lega agli Stati Uniti e alle democrazie dell’Occidente. Mai, nel dopoguerra, questi impegni sono stati in discussione: purtroppo oggi c’è invece bisogno di chiarezza assoluta anche su questo fronte cruciale e spero che nessuno osi parlare più di sovranismo ed euroscetticismo. Per imprese, export, lavoro e famiglie, raggiungere l’Ungheria di Orbán tra i paria dell’Europa avrebbe conseguenze pesantissime”. Come la maggioranza degli industriali veneti, Carraro non si limita oggi a generici auspici e non si accontenta di promesse pre-elettorali. “Aspettiamo – dice – di vedere impegni e programmi scritti. E a chi ha voluto questa crisi, per opportunità personali e certo non nell’interesse del Paese, chiediamo di rientrare nella realtà. Salvini e la Lega, per essere chiari, non possono più pensare di risolvere l’emergenza-migranti facendo passerella a Lampedusa, o di affrontare la guerra in Ucraina con le pagliacciate in Ungheria, o con fantomatiche missioni personali da Putin e in Russia. Il governo Draghi ha alzato l’asticella della serietà, indietro non possiamo tornare: la parte fragile del Paese si allarga e l’inflazione minaccia di inghiottire anche le imprese”.

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Sempre di più, nel Nordest appeso ai mercati esteri, i “garanti anti-sbandate” diventano i governatori leghisti Zaia, Fedriga e Fugatti, pure irritati dall’accelerazione salviniana, il draghiano ministro per lo sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e quello per la transizione ecologica Roberto Cingolani, eletto “mister gas”. Se non è un “Salvini addio” poco ci manca, mentre alla Meloni si intima di “diventare in fretta e senza ma, ciò che non è mai stata”: cancellati i Cinquestelle, in crescita nella base le simpatie verso il campo democratico di un “Letta serio e leale” e di un “Calenda concreto e autonomista”. “Non dimentichiamo – dice Michelangelo Agrusti, leader degli industriali del Friuli Venezia Giulia (Udine esclusa) – che Draghi per fortuna resta in piena attività e dotato di ampia agibilità. Con il suo profilo e con la sua agenda calibrata sui problemi da risolvere, si devono confrontare tutti. Non ci permettiamo di tirarlo ora per la giacca, ma dopo il voto la necessità di uno sforzo straordinario di solidarietà nazionale e di una leadership autorevole a livello internazionale, resterà. La strada per noi rimane quella tracciata da Draghi e Matterella, a partire da misure economiche senza fare ulteriori debiti”. Prima preoccupazione? “I mercati di una nuova globalizzazione – dice Agrusti – all’interno dell’Occidente democratico. Risvegliarsi emarginati in Europa e guardati con sospetto dagli Usa sarebbe fatale per la competitività del sistema-imprese: sicurezza e costo dell’energia sono problemi non rinviabili”.

L’idea che avanza nel Nordest è costringere il prossimo parlamento e il nuovo governo a “non uscire dal solco di Draghi, agendo come se il leader restasse lui”. “Mentre lo facevano fuori – dice Fausto Manzana, presidente degli industriali del Trentino – lo hanno accusato di non essere abbastanza politico. Sappiano che per noi il rifiuto delle opacità politicanti è oggi una qualità e che il problema adesso è trovare una figura che per capacità anche solo gli si avvicini. Debito, inflazione, energia, Pnrr, qualità della pubblica amministrazione, lotta all’evasione fiscale, diritti individuali e manodopera straniera sono temi cruciali: non accetteremo arretramenti, o svolte irreparabili”. Proprio queste, a partire dal rispetto della Costituzione, preoccupano in particolare Heiner Oberrauch, presidente degli industriali dell’Alto Adige, terra di frontiera con il più alto tasso di imprese legate ai mercati tedeschi ed europei. “Promesse e rassicurazioni di circostanza – dice – non bastano. Con l’uscita di scena di Merkel, l’Italia aveva il leader europeo più ascoltato nel mondo. Irresponsabile farlo cadere, nel timore di dover varare con lui riforme profonde e necessarie. Adesso il punto non è se la destra resti sovranista e nazionalista, ma se la comunità internazionale crede alla sua improvvisa professione di europeismo-atlantista. I mercati sanno essere spietati, i nostri partner sono allo stesso tempo nostri competitor, dall’estero ricevo ogni giorno decine di telefonate allarmate e interessate. Il Sudtirolo ha pagato un prezzo altissimo a fascismo e nazionalismo, solo democrazia e convivenza lo hanno trasformato in una delle terre più ricche d’Europa. Non è più tempo di promesse, regalini e follie, come 110% e reddito di cittadinanza: imprese e lavoratori hanno bisogno di un sistema moderno che funzioni. L’economia italiana ha confermato di essere la più creativa e resistente del mondo: la prospettiva che venga affossata da chiusure dei confini e nostalgie sovraniste è per le imprese un’enorme preoccupazione”.

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Ad allargare la scena anche Matteo Lunelli, presidente di Altagamma, che rappresenta le imprese ambasciatrici dello stile italiano nel mondo. “Grazie a Draghi – dice – abbiamo superato i livelli di fatturato pre-Covid, siamo il settore economico più resiliente e il dollaro basso ha aiutato. Le “nuvole all’orizzonte” però sono ora evidenti, dall’inflazione alla reperibilità di componenti produttivi e materie prime. All’Italia, con una globalizzazione amputata da guerra in Europa e nuove tensioni in Asia, serve una leadership specchiatamente europeista, con esperienze e competenze internazionali fuori discussione”.

Il Nordest ha già nostalgia di Mario Draghi e spera di vederlo ancora protagonista della vita istituzionale del Paese. Le imprese non credono ai miracoli e guardano con pragmatismo al dopo-voto. Per gli eredi del governo bruciato, colpevoli o no di draghicidio, riconquistare la fiducia di mondo economico e lavoratori sarà però molto difficile. “Questo – dice Lunelli – è il nodo che i politici devono sciogliere non presto, ma subito”.

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