Le mille vite del ministero del Turismo, tornato (dopo la sua morte) al capezzale della Vacanze Spa

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MILANO – La data della sua morte (in teoria) è nota: 19 aprile del 1993. Quando, con una maggioranza bulgara, 28 milioni di italiani – l’82% dei votanti al referendum – misero una croce su quel “Sì” che lo condannava all’harakiri. Lui però non si è mai dato per vinto. Per qualche anno ha finto di assecondare la volontà popolare che ne pretendeva la chiusura. Si è dato alla macchia sopravvivendo in forma embrionale – un po’ tipo Voldemort – tra sottosegretariati ad hoc, direzioni generali, deleghe che ruotavano come girandole. E ora – la vendetta è un piatto che si consuma freddo – è ufficialmente risorto: “L’onorevole Massimo Garavaglia sarà preposto al nuovo ministero del Turismo”, ha dato l’annuncio Mario Draghi battezzando il governo. “Con portafoglio!”, ha aggiunto.

L’Italia ha riabilitato – dandogli pure come risarcimento un tesoretto da spendere – il grande desaparecido dei palazzi romani. E prova a ricentralizzare la gestione e la pianificazione della Vacanze Spa, un affaruccio che vale il 6% del pil  e muove ogni anno (quando non c’è il Covid) 130 milioni di persone, più del 50% straniere, che spendono nel Belpaese – tra alberghi, spritz, souvenir e cartoline – qualcosa come 100 miliardi in dodici mesi.

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Il compito di Garavaglia non sarà semplice. Per un motivo: i colpevoli del “ministericidio” del 1993 sono ancora a piede libero e pronti a fare il bis. Il loro nome è noto: Lombardia, Piemonte, Toscana, Emilia-Romagna e le altre sei regioni che 28 anni fa hanno chiesto la chiusura del ministero del Turismo. Accusandolo di centralismo burocratico e improduttivo e avviando quella stagione del federalismo delle vacanze che – a conti fatti – in molti casi ha solo decentralizzato sprechi e burocrazia. Nessuno, ovviamente, è senza peccato.

Lo stato ha sulla coscienza i flop milionari dei siti di promozione come Italia.it e il più recente Verybello.it, mai decollati davvero e affondati da perdite milionarie. La dispersione degli investimenti a livello regionale ha comportato figuracce mondiali quando ogni singola pro-loco si presentava con stand da sagra di paese alle fiere internazionali, parcheggiati magari – come figli di un dio minore – accanto alle faraoniche e organizzatissime installazioni di Spagna, Francia, Portogallo e dei nostri cugini-rivali del Mediterraneo. Un inseguimento al ribasso il cui conto, alla fine, l’ha pagato l’Italia.

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I soldi e il consenso che muove il settore, del resto, sono la polizza sulla vita che ha garantito la rinascita del ministero del turismo. Attorno ad alberghi, campeggi, agriturismi ci sono gli interessi del territorio, le spese di promozione, gli incentivi e gli aiuti. Dallo stop del referendum in poi, non a caso, Roma ha cercato di riprendere dalle regioni il controllo dei cordoni della borsa. Nei primi anni costruendo sottosegretari con deleghe specifiche al settore. Poi tentando di costituire un comitato ministeriale ad hoc bocciato dalla Corte costituzionale. Il salto di qualità è arrivato però nel 2009 quando Silvio Berlusconi ha consegnato a Maria Vittoria Brambilla il rinato ministero – senza portafoglio per non far saltare la mosca al naso agli enti locali – del Turismo. Sdoganato il dicastero, la strada è stata in discesa fino alla consacrazione della resurrezione con Mario Draghi.

I temi in cima all’agenda del ministero rinato dalle sue ceneri sono chiari: i ristori in primis. Poi il tentativo di organizzare uno schema di offerta turistica ragionata. Che non deturpi il territorio ma lo valorizzi, rispetti la storia e i valori, diversifichi l’offerta fuori dal circuito delle città d’arte dove (in condizioni normali) siamo da tempo oltre al tutto esaurito, allunghi le stagioni oltre i mesi di picco, valorizzi il turismo lento come quello a piedi o in bicicletta che nel resto d’Europa è una miniera d’oro, promuova in modo organico il Belpaese all’estero. Il tutto, è il bello della politica italiana, provando a lavorare assieme a quelle regioni che 28 anni fa l’hanno condannato a morte.

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