“Le stanze degli abbracci sono solamente uno spot. I nostri anziani isolati da mesi”

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MILANO – Eppure lo sappiamo tutti, quanto è essenziale il rapporto con la famiglia, per chi vive in una residenza per anziani. Eppure, “le rsa sono chiuse, inaccessibili come cittadelle medievali, nonostante siano iniziate le vaccinazioni agli ospiti, al personale e ai caregiver”. La situazione è intollerabile, a oltre un anno dall’inizio della pandemia. Alessandro Azzoni, imprenditore milanese, è presidente dell’associazione Felicita, nata per difendere i diritti dei ricoverati nelle strutture per anziani di tutta Italia, e dei loro parenti.

Azzoni, da quanto tempo non vede sua madre?
“Da settembre. È in una rsa nel Pavese. A inizio pandemia era al Pio Albergo Trivulzio, dove è stata contagiata, e poi ricoverata per due mesi in ospedale. Si è salvata, ma le sue condizioni sono peggiorate: un anno fa era cosciente, adesso non più. Sopravvive in un letto, alimentata con il sondino. L’isolamento uccide gli anziani, i danni psicologici che subiscono sono irreversibili. Spesso non sono neanche in grado di capire cosa sta succedendo intorno a loro”.

Lei li definisce “detenuti innocenti”.
“Certo, Perché sono privati del contatto umano con le loro famiglie. Ci sono persone che da un anno non vedono i figli. Man mano che il tempo passa, si rinchiudono in se stesse, e spesso si lasciano andare”.

Esistono però le “stanze degli abbracci”, no?
“No. Ce ne sono pochissime. In Italia ci sono circa 6mila rsa, e 2mila rsd, cioè residenze per disabili. Di “stanze” certe ce ne sono 18 in Lombardia, che ha circa 770 strutture”.

Perché dice “circa”? Non ci sono numeri sicuri sulle strutture?
“No. Non lo sa neanche monsignor Paglia, che presiede la commissione ministeriale per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria degli anziani. Ha dichiarato di non saperlo. C’è una assoluta mancanza di conoscenza del fenomeno. E abbiamo solo una stima delle strutture esistenti: 8mila, circa”.

Senza contare quelle abusive, che ogni tanto vengono scoperte. Perché così poche stanze per permettere l’incontro con i parenti?
“Perché costano. Le 18 lombarde sono state donate dallo Spi Cgil, il sindacato dei pensionati, per sensibilizzare l’opinione pubblica su un argomento così importante, in una società sempre più vecchia. Sono stati bravissimi, se ci penso mi intenerisco: hanno contattato un’azienda che costruisce mongolfiere, che ha realizzato le strutture di plastica e le ha installate”.

Molto fotografate, sembrava la soluzione del problema.
“Invece no. Che io sappia non ne esistono altre. So che la Regione Toscana ha stanziato dei fondi per realizzarne 57. Ma per il resto, le rsa sono dei ghetti. Con la scusa della pandemia, si sono chiuse all’esterno, sono diventate impermeabili. Noi figli non possiamo vedere, controllare lo stato di salute non solo fisica dei nostri genitori. E loro intanto peggiorano. Perdono autonomia, e anche se sono in grado di capire subiscono comunque dei danni psicologici, e si sentono abbandonati. Poi, l’isolamento forzato peggiora lo stato di decadimento cognitivo. Non ci sarebbe neanche bisogno di spiegarlo, che il danno è certo”.

Quindi, ci siamo tutti illusi che le cose fossero migliorate.
“Dal febbraio 2020 non è cambiato niente, come sa chiunque abbia un parente ricoverato. Pensi al Pio Albergo Trivulzio, struttura enorme, importante: quando è cominciata questa tragedia, non avevano un piano pandemico aggiornato. Ma oggi, il virus non è più una novità, e questo isolamento sta creando ai ricoverati gli stessi danni del virus”.

Quante persone sono morte al Trivulzio?
“Circa 400, nel periodo marzo-maggio 2020. Anche qui, non abbiamo certezze. È un numero fornito dalla dirigenza, mai accertato. Al Trivulzio, come altrove, manca la trasparenza. Il Comitato giustizia e verità per le vittime del Pat sta aspettando con fiducia la chiusura indagini dei 20 fascicoli aperti dalla procura di Milano. Ma non ci sono solo i morti, ci sono anche i feriti. Qualcuno è sopravvissuto, ma in quali condizioni?”.

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