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L’emergenza che non lo è

La sola cosa indubitabile, nella cosiddetta emergenza-migranti, è che non è un’emergenza. I numeri dicono che è un grande, potente, inarrestabile, consolidato processo storico, ormai quasi trentennale nel suo aspetto più drammatico (i barconi). Per Paesi come il nostro questo processo è ricco di vantaggi (energia nuova, forza lavoro, apertura culturale, svecchiamento del paesaggio umano) e di forti contraccolpi sociali (paura dello straniero, importazione di nuove mafie, convivenza non facile con credenze e usanze che confliggono con le nostre, sfruttamento bieco).

A trasformare questa grande pagina della storia del mondo, di quando in quando, in “emergenza”, è la propaganda politica, che trova nell’enfasi mediatica il complice perfetto. Se ne parla ogni volta come se fosse la prima volta. Sprofondano, dentro l’onda emotiva che la parola “emergenza” suscita, la consistenza reale degli eventi, le prassi legislative e politiche con le quali i diversi Paesi affrontano, bene o male, la situazione. Scompaiono soprattutto le persone migranti, quelle inghiottite dal Mediterraneo e quelle approdate sane e salve. Cessano di essere persone e diventano “emergenza” anche loro. Per ciascuno di loro la vicenda è unica, è la loro vita che, cambiando destinazione, cambia destino.

L’accoglienza non fa male all’economia

La parola emergenza andrebbe cancellata da tutte le agende politiche. E’ un “al lupo! al lupo!” che rende stupidi e impotenti, perché tradisce la realtà. Realtà che è dura da sempre, lo è costituzionalmente, e dunque merita impegno e pazienza, non il parossismo emotivo nel quale abbiano accettato di vivere ogni volta che chiamiamo “emergenza” il flusso della vita sul pianeta.



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