L’etica promessa deve diventare realtà

Pubblicità
Pubblicità

Imprese e investitori hanno cominciato a litigare sulla sostenibilità, rinfacciandosi l’attendibilità dei loro impegni sull’impatto sociale e ambientale. Nel frattempo, il livello di preoccupazione delle autorità di regolazione sulla coerenza tra promesse e fatti in materia di sviluppo sostenibile sta crescendo esponenzialmente. Sono entrambe splendide notizie, perché significa che si comincia a fare sul serio, dopo anni di vacuo entusiasmo, promesse non verificabili e metriche superficiali o opportunistiche. Se per molto tempo la finanza ha potuto usare, senza timore di essere smentita, aggettivi come verde, sostenibile, inclusivo, sociale per i propri prodotti, nei prossimi mesi sarà invece spinta a tenere fede alla sostanza di ciò che promette.

La Security Exchange Commission, l’autorità di vigilanza del mercato americano, sta mettendo mano alla scrittura di regole molto chiare volte a limitare dichiarazioni e promesse che non abbiano reale rispondenza con la natura dei prodotti offerti. Il processo di consultazione pubblica, che doveva concludersi venerdì scorso, è stato prolungato di qualche mese dalla stessa Sec per poter gestire un dibattito che si faceva infuocato.
La questione è ovviamente rilevante, perché riguarda quasi tre triliardi (triplicati dal 2019) di risorse finanziarie legate a obiettivi di contrasto al cambiamento climatico, alla transizione energetica, alla riduzione delle disuguaglianze e a limitare gli effetti negativi. L’iniziativa della Sec segue con un certo ritardo quanto fatto dalla Commissione Europea negli ultimi anni: un regolamento specifico che classifica i fondi e gli strumenti di investimento in base alla reale capacità di realizzare obiettivi di impatto sociale e ambientale, una tassonomia sulla base della quale un prodotto può essere definito verde (presto anche sociale) e una serie di direttive che obbligano le organizzazioni a rivelare con completezza e trasparenza le proprie informazioni non finanziarie e a ridefinire i doveri degli amministratori.
Tutto ciò è più che benvenuto, perché nel momento in cui il valore economico e sociale dei prodotti e dei servizi entra a regolare i meccanismi di mercato, la riduzione delle asimmetrie informative e la rimozione delle distorsioni indotte è una priorità assoluta.

Il gelo sui fondi sostenibili: nel 2022 ritirati 300 miliardi

Tuttavia, questo imponente sforzo di regolazione rischia di essere vano ed anzi controproducente in assenza della capacità di misurare accuratamente il valore sociale e ambientale. L’impressione di molti è che oggi triliardi di dollari siano affidati a una grammatica, quella definita Esg, debole, distorta e assai poco affidabile.

George Serafeim ha pubblicato su Harvard Business Review un esercizio con cui ha dimostrato che una stessa impresa può essere eccellente o pessima a seconda dell’agenzia di rating Esg che la valuta. È evidente che abbiamo un problema, stiamo affidando la risposta a grandi sfide ambientali e sociali a numeri che valgono pochissimo e dicono pochissimo.
Ci sono molte ragioni per questo. In primo luogo, non esiste uno standard di misurazione unico ed è in corso una vera competizione tra standard. In secondo luogo, la grammatica Esg è storicamente cresciuta per misurare soprattutto la E di ambiente mentre è del tutto carente nella misurazione della S di sociale.
Infine, la qualità dei dati. Se i dati che alimentano i documenti finanziari sono validati da processi di audit, controllo, collegi sindacali, società di revisione, i numeri non finanziari eludono oggi qualunque forma di controllo e validazione. Il rischio è quello di avere una regolamentazione sofisticatissima che agisce su dati di bassissima qualità e totalmente inaffidabili, contribuendo non a mitigare ma ad amplificare gli effetti distorsivi delle asimmetrie informative in materia di sostenibilità.

Pubblicità

Pubblicità

Go to Source

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *