L’imprenditrice di seconda generazione che ha salvato Bauer, azienda del dado trentino di qualità

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Come nella fiaba di Pollicino, Giovanna Flor segue la scia di granellini e trova la strada che la porta alla meta. In ogni granellino ci sono gusto e sapore, tutte le componenti che conferiscono al suo prodotto, il brodo Bauer, gli attributi di qualità. Di carne o vegetale, di pollo o di pesce, granulare e dado, una tradizione che dal Trentino è arrivata in tanti angoli del mondo.
Da 20 anni l’imprenditrice è amministratrice unica dell’azienda alimentare di famiglia che produce 22 milioni di cubetti e 800mila barattoli di granulari all’anno. Terzo player oggi dei dadi da brodo e insaporitori con una quota del sei e mezzo per cento, dopo i colossi Star e Knorr, Bauer è partita nel 1929 come importatrice di dadi da brodo dalla Germania. Rilevata negli anni Ottanta da Rolando Flor, il papà di Giovanna, e un socio, ha avviato la produzione in forma granulare con una tecnologia molto esclusiva e ancora un po’ artigianale anche se con moderni macchinari in acciaio.
L’azienda con 19 dipendenti e cinque milioni e mezzo di fatturato, è in crescita oggi grazie alla forte spinta all’innovazione e alla sostenibilità, prima in Italia ad aver ottenuto il livello Gold della certificazione Leed Nc 2009, secondo disciplinari di carattere mondiale. Ma non è andato sempre tutto liscio. La storia dice che il nuovo stabilimento è stato costruito nel 2012 nel polo industriale di Spini di Gardolo, alle porte di Trento. Prima di questo ci sono voluti anni, capacità e tenacia di Giovanna Flor, per riuscire a riacciuffare le sorti di un marchio storico altrimenti destinato a una inevitabile débacle.   
Dal suo paese di origine, Cles, nella Val di Non circondata dai campi di mele Melinda, Giovanna Flor, nata il sei aprile del 1970, è andata a studiare a Bologna, prima al liceo scientifico e poi all’università. Si è iscritta alla facoltà di Scienze politiche con l’idea di diventare poliziotta. “Fin da piccola un senso di giustizia mi spingeva a pensare che avrei dovuto battermi per un mondo migliore. Sarei voluta entrare in accademia di polizia subito dopo le superiori, ma per uno scherzo del destino o forse per mano della mia mamma Mariangela, gli esami di ammissione coincidevano con lo scritto della maturità. L’alternativa era un corso di laurea per poter accedere al concorso”. Giovanna Flor prende casa assieme una ragazza olandese, Simona, conosciuta il primo giorno di corso, che voleva studiare in Italia. “È rimasta una bella amicizia”. La laurea nel 1994, con una tesi in Teoria delle organizzazioni, caso di studio la Sony di Rovereto. “Nel frattempo avevo maturato un’idea diversa rispetto alla polizia: da contatti con chi quell’ambiente lo viveva dall’interno sapevo di situazioni non idilliache, la difficoltà di avere una sede stabile, carriere in alcuni casi più per raccomandazioni che per merito”.
Nel frattempo si dedica per un periodo all’azienda della madre nell’Alta Val di Sole, un’industria di rotori e avvolgimenti per l’estrazione dell’acqua dai pozzi, mentre la sua sorella gemella, Laura, diventa avvocato. “Lavoravo in produzione, mia madre è stata una vera imprenditrice, tra i primi in Italia ad adoperare il pvc, un materiale all’avanguardia per quell’epoca. Poi si è ammalata e ha deciso di passare la mano al socio”. Giovanna però le sembrava sprecata per quel lavoro e l’ha spinta a entrare nell’azienda gestita dal padre. “In un primo tempo mi opposi, con lui non avevo un rapporto felice. Poi lui ha preso in mano un’azienda in Toscana, a Livorno, nel settore del food e in Bauer si è aperto uno spazio per me”.
Tanta gavetta e apprendistato in ogni settore dell’attività. Nel 1998 viene inserita nel consiglio d’amministrazione e poco dopo, in un momento drammatico per la vita aziendale, assume la carica di amministratrice delegata. Le spetta un compito gravoso. In quel frangente Bauer aveva difficoltà perché l’azienda toscana navigava in pessime acque, era sull’orlo del fallimento, e continuava drenare risorse dall’azienda di famiglia. “Quel travaso continuo di denaro rischiava di affossare anche noi. Quando il cda si è spaccato ed è emersa la possibilità, sono stata strafelice di assumere il comando. Ho passato i primi tre anni a sistemare la parte finanziaria”. Ha messo in liquidazione l’azienda in Toscana, “non volevo lasciare una situazione disastrosa in mano ai giudici, e creare disagi al personale, non lo giudicavo etico. C’erano tensioni tra i soci, nella mia famiglia, litigi. Dovevo stringere i denti e provare a salvare Bauer riportandola a essere un fiore all’occhiello”. Oggi la famiglia Flor ha il 56 per cento della società e il socio di minoranza è deceduto. La fetta di quest’ultimo è nelle mani di un esecutore testamentario per conto di eredi che non trovano un accordo. “Non abbiamo ripercussioni sull’attività, la nostra è una maggioranza consistente”.
In che modo recuperare solidità. Giovanna Flor ha rivoltato l’azienda come un calzino. Cominciando dalla distribuzione. “Cambiare strategia era rischioso ma lo sarebbe stato di più restare fermi. In azienda ho portato il mio carattere che vuole ordine, precisione, organizzazione, coerenza, correttezza. Tante donne al vertice. Rapporti di lavoro sereni, la lealtà con i collaboratori, mai atteggiamenti di forza e comprensione delle situazioni ci hanno certificato ‘Family audit’, un marchio nato in Trentino sulle politiche di conciliazione lavoro-famiglia”.
Con l’aiuto di una consulente e con l’esperto che all’interno del distributore storico seguiva la linea voluta da Bauer, in dieci anni è stata costruita una diversa rete per presidiare il mercato già radicato e rinforzare il business. Era necessario spingere su supermercati e grande distribuzione organizzata, senza tralasciare altri canali. Promuovere tutta la gamma allargata dei prodotti, quindici referenze, e non soltanto le due che vendevano meglio. “Dovevamo riequilibrare e armonizzare condizioni diverse. È stato impegnativo”. Alla direzione vendite è stato chiamato Massimo Di Filippo dalla Ferrero, che aveva molto lavorato sul settore della ristorazione. Con il normal trade, i piccoli negozi, Bauer è andata in profondità, nel Sud d’Italia comprese le isole, dove aveva poco presidio, e selezionato nuovi agenti. Strategico l’export in Giappone, Canada, Sud America, benché in piccoli fatturati, attorno al 5 per cento, che nei prossimi mesi sarà incrementato affidando il compito a una figura specializzata.
Il brodo Bauer ha un indice di prezzo anche due volte e mezzo superiore alla media del mercato, imposto da ingredienti, composizione e trattamento delle materie prime. “Siamo gli unici in Italia a rispettare la legge del 1953 che regolamenta il settore del dado da brodo e costringe produzioni a costi molto alti, ma osservare quella normativa ci aiuta a preservare la qualità. Un estratto di carne fatto con muscolo di pregio può essere definito tale se ha una quantità di creatinina non inferiore a 0,72 per cento del residuo secco totale. Sul mercato tuttavia ce ne sono anche con valori più bassi. Noi compriamo in Argentina e Brasile. Purtroppo dipendiamo da grossi produttori, un cartello che fa schizzare i prezzi alle stelle, ci difendiamo grazie al rapporto di lunga data con gli intermediari. I dadi vegetali invece sono a base di estratti di proteine di soia e di mais, non italiani perché l’Italia non ha impianti di produzione degli estratti”. Vengono dall’Olanda o dai paesi dell’Est, altri sono i semilavorati che vengono acquistati in Francia.
“Nei prodotti dei nostri competitor sono inseriti solo in tracce, insieme ad amidi, farine, zuccheri grassi, per comporre un prodotto che da un punto di vista organolettico non ha alcun valore. È una differenza importantissima. E l’altro tema è la questione del sale. La legge impone che non ci debba essere più del 60 per cento di cloruro sodico, le nostre percentuali sono inferiori. L’etichetta Bauer è molto chiara. Questo il mercato ce lo riconosce, ma la conseguenza è che siamo relegati a quote minoritarie”. Con la pandemia il fatturato non ha subito scossoni, anzi. “Nell’organizzazione interna alla quale tengo tantissimo, siamo stati bravi, mai abbiamo interrotto la produzione. I nostri spazi sono ampi, il distanziamento è garantito”.
Per la costruzione del nuovo stabilimento, nel 2012, Giovanna Flor ha voluto fin dalla progettazione del sito produttivo il marchio dell’ecosostenibilità. Circuito sanitario alimentato dall’acqua piovana, tetti e giardino piantumati a sedum, una pianta grassa, pannelli solari fotovoltaici. I camion che hanno lavorato nel cantiere dovevano lavare le ruote in entrata e in uscita. E la costruzione è stata anche galeotta. L’architetto chiamato a realizzare l’opera, Massimo Leonardelli, è diventato il compagno di Giovanna Flor e dalla loro unione è nata Anna, che ora ha sei anni e mezzo. “Lo stabilimento voleva dire rinascita e rivincita, e a questo si è associata la vicenda personale”.
Da viaggiatrice accanita che era, con escursioni che l’hanno portata in Etiopia, Libia, Tibet, Giappone, l’imprenditrice ha scelto una vita più stanziale, impegnata nel ruolo di mamma. “Mi occupo tanto di lei. Prima leggevo parecchio. Ho sciato tantissimo, ero brava, lo facevo con il Soccorso alpino, ho smesso quando sono diventati di moda gli sci carving, sciancrati, ho visto tanti incidenti e mi sono spaventata. Ho ripreso il tennis che quando ero piccola giocavo volentieri”.
Ma è anche decisa a dare all’azienda una veste più aderente ai tempi. “La produzione del dado da brodo è ormai declinata in tutti i modi possibili. Vogliamo andare più in là”. Per il nuovo progetto ‘Bauer gourmet Lab’ ha ristrutturato il settore ‘ricerca e sviluppo’, ha ingaggiato un enologo e uno chef, in un’area dedicata che inaugurerà nel prossimo in aprile, attrezzata come sala di registrazione con telecamere, con un arredo ultracurato, che sarà utilizzata per testare i prodotti, “farli conoscere agli esperti di comunicazione, per avvicinare gli interlocutori del business visto che le fiere a causa del lockdown non si possono fare”.
Essere diventata mamma per Giovanna Flor “è stata una gioia infinita. Ciò che mi rammarica è questo ritardo nell’aver messo al mondo un figlio a 44 anni, sono una genitrice attempata. C’è voluto tempo, quando le mie amiche si costruivano le famiglie io scartabellavo nella contabilità. Ma Anna sta crescendo e appena si potrà riprenderemo a viaggiare. Prima destinazione il Giappone; ci sono andata con poca convinzione e ho scoperto un mondo affascinante. Voglio tornarci con lei e con Massimo. Ci sono cose che un architetto non può non vedere”. 

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