L’Italia arcobaleno. Obiettivo: 11 titolari per 11 club

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“Sassuolo o Paris Saint Germain? Togliamo i nomi e rimangono le etichette, l’origine, il metodo, lo sfondo. La vigna, se un calciatore fosse un vino di un certo pregio“. (Gianni Mura, inviato a Duisburg ai Mondiali 2006, paragonò gli azzurri ai vini: Buffon al Barbera e Pirlo all’Erbaluce di Caluso…).

   Certo, detta così, Paris Saint Germain, perché le Champions League le gioca (anche se le perde…), mentre il Sassuolo al massimo è arrivato all’Europa League. Dietro al dubbio “Locatelli o Verratti” – ma perché non anche “Locatelli & Verratti”? – c’è una questione di filosofia e schieramenti, perfino di storia. Tradizionalmente conosciamo e siamo più avvezzi a trattare con Nazionali derivate da uno o più blocchi. Per comodità di tutti: dei ct che le misero in piedi, dei tifosi che le ammirarono e spesso le festeggiarono, e dei critici che le giudicarono trascinandosi dietro giudizi e pregiudizi del campionato. Adesso è tutto diverso: i blocchi, con i tanti stranieri, si sono sgretolati. Persino la Juventus, che pure è sempre stata il fornitore principale di casa azzurra, ha i problemi suoi. E in ogni caso non è più così facilmente ricostruibile in nazionale. Altrettanto vale per l’Inter, che il campionato lo ha vinto.

Il blocco del grande Torino nel 1947, i nove juventini del 1978

  Insomma non torneremo mai più a una situazione tipo Argentina-Italia ai mondiali del ’78 (0-1, gol di Bettega) quando la Nazionale schierò ben 8 juventini tra i titolari: Zoff, Scirea, Gentile, Cabrini, Benetti, Tardelli, Causio e Bettega. Più Cuccureddu, entrato quasi subito al posto di Bellugi. Per non parlare dell’epoca del Grande Torino. Nel ’47 Pozzo schierò dieci granata contro l’Ungheria di Puskas: Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ferraris II. L’unico “estraneo” era Sentimenti IV, portiere della Juventus. È il blocco record.

Un patchwork che va a comporre la maglia azzurra

   Adesso abbiamo in campo giocatori di nove club diversi: Donnarumma (Milan, nella stagione appena conclusa) – Di Lorenzo (Napoli), Bonucci (Juventus), Acerbi (Lazio) o Bastoni (Inter), Spinazzola (Roma) – Barella (Inter), Jorginho (Chelsea), Locatelli (Sassuolo) o Verratti (Psg) – Berardi (Sassuolo), Immobile (Lazio), Insigne (Napoli). Con Verratti in campo i club sarebbero addirittura 10, perché Di Lorenzo e Insigne sono entrambi del Napoli. Ma non ci vorrebbe molto a fare 11 giocatori per 11 club diversi. Basterebbe che giocassero appunto Verratti a centrocampo e Toloi (Atalanta) in difesa, che ha già fatto il suo esordio europeo e quindi è un possibilissimo titolare.  Con Mancini 25 convocati su 26 hanno già messo piede in campo, adesso aspettiamo il massimo del “patchwork” possibile, con 11 giocatori di 11 club diversi in campo contemporaneamente.

   L’osservazione rafforza molto la tesi della Nazionale come un club, che ha cioè un sua struttura e un suo gioco autonomo, indipendente dalla provenienza dei giocatori stessi. Del resto persino il tradizionale blocco difensivo juventino – la famosa BBBC, Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini – è ormai da considerare definitivamente sgretolato, a causa anche dell’infortunio di Chiellini, che poteva ancora “salvare” la residuale coppia centrale.

Mancini selezionatore che sceglie il meglio possibile

  Nell’altra, consueta divisione concettuale tra ct allenatore e ct selezionatore – si parte dal concetto che in Nazionale non si può lavorare con gli stessi tempi e ritmi di un club per cui si prende e si assembla il già fatto, più che costruire una vera e propria identità azzurra – Mancini diventa estremamente importante come “selezionatore”. Proprio perché bisogna scegliere un giocatore o al massimo due da ogni club. E con quelli fare la miglior insalata possibile.

  Prossimo obiettivo dunque 11 nazionali per 11 club diversi. Dopodiché servirà un lettino dello psicologo, per aver visto completamente capovolti i capisaldi azzurri che consideravamo assodati ormai da decenni. L’ItalJuve? Archeologia!

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