Lo chef Uilliam Lamberti: “Resto a lavorare a Mosca, ma in cucina non si parla di politica”

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Un giramondo della cucina che ha trovato la sua dimensione in Russia. Nato in Germania da mamma siciliana e papà marchigiano, Uilliam Lamberti ha passato tutta l’infanzia nelle regioni dei genitori, frequentando poi la scuola alberghiera di Senigallia e spiccando il volo prima verso Londra agli ordini di Gualtiero Marchesi e poi verso Mosca, scoperta nel 1996 e mai più lasciata. 

In questo clima di incertezza dato dalla situazione internazionale e dalle sanzioni che hanno seguito la guerra in Ucraina, abbiamo chiesto a Lamberti, che nel frattempo da chef è diventato uno dei ristoratori più conosciuti in Russia, come superare il momento economico e sociale che si trova ad affrontare questa primavera e nel futuro prossimo.

Sartoria Lamberti, Mosca 

Sartoria Lamberti, Mosca  

Si sente un po’ un cittadino del mondo?
«Sono stato un giramondo sin da ragazzo e già dal mio nome che andava di moda quando sono nato, si capiva che non avrei avuto una sola dimora. Sono cresciuto in Italia, poi sono stato in Europa, Stati Uniti, Asia fino ad approdare in Russia ventisei anni fa, per pura curiosità. Lavoravo a Londra con Marchesi, lui mi propose Mosca e io accettai. Da un anno ho anche il passaporto russo, per cui devo dire che quella scelta ha cambiato la mia vita».

Come si definirebbe?
«Oramai sono più ristoratore che chef e preparo qualche piatto ogni tanto soltanto per diletto, perché sono sempre preso tra riunioni e business plan. Rimango nell’ambito della cucina, ma lascio gestire la linea ai ragazzi e alle nuove promesse. Il mio compito è quello di fare da ponte e di portare le informazioni dai clienti alla cucina e far sì che ci siano quegli aggiustamenti per migliorare la qualità di tutto il servizio perché alcuni aspetti della sala non si possono vedere mentre si è ai fornelli. Poi mi occupo di studiare le strategie di marketing, cambio di assetti e quando apro un nuovo locale, mi piace creare tutto da zero, compreso l’arredamento: il ristorante, in Russia, è un’azienda vera e propria. Mi occupo di diverse strutture a Mosca come la Sartoria Lamberti, Ugolek, Pinch, Uilliam’s, Level 2 e Lumicino. Altri, invece, apriranno dopo l’estate». 

Omelette - Ugolek Restaurant 

Omelette – Ugolek Restaurant  

Come vive questo momento così delicato?
«Tutto sommato con tranquillità. Ci sono le sanzioni è vero e il problema più grosso è lo sbilancio della valuta, che ora la Russia sta cercando di riassestare obbligando gli altri Paesi all’acquisto di petrolio e gas in rubli. Per quanto mi riguarda, ho fatto tutte le crisi dal 1996 a oggi e ne ho viste di tutti i colori. Ogni crisi comporta un ridimensionamento su tutti i livelli, per cui ci vuole un’analisi dettagliata della situazione e si capisce come reagire perché economicamente sono tutte simili tra di loro, per quanto la causa scatenante sia ovviamente diversa. Parlando da ristoratore, quella più anomala è stata quella degli ultimi due anni a causa della pandemia, perché non hai una visione del futuro chiara e fronteggi una situazione totalmente nuova».

Che futuro si aspetta, invece, dopo quanto accaduto nell’ultimo mese?
«Non è semplice capire come gestire il tutto nell’immediato. Come per le crisi precedenti, c’è paura nello spendere e non si ha idea di quale scenario ci troveremo di fronte dopo. In questi giorni, la gente sta riabituandosi alla nuova situazione e comincia a tornare alla normalità, lo vediamo anche dai ristoranti che tornano man mano a ripopolarsi rispetto alle ultime settimane». 

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Come vi reinventate?
«Ci ridimensioniamo non ogni giorno, ma direi quasi ogni minuto in questo periodo, perché i prezzi di acquisto dei prodotti salgono fino all’inverosimile, così si preferisce toglierli, anziché ridurne le qualità nel piatto. Piuttosto che offrire un piatto meno ricco preferisco cambiarlo e puntare su prodotti locali, anche se pure loro sono inflazionati, proprio come le materie prime importate. Con l’Italia è tutto fermo, così come San Marino che era l’ultima spiaggia. Comunque, non ci disperiamo e facciamo con quello che abbiamo. Nel 2005, sono stato il primo a portare tonnellate di burrata, mentre ora viene prodotta qui grazie a tecnologi italiani perché da otto anni si è cominciato a lavorare in questa direzione dopo i precedenti embarghi. Oltre ai latticini, qui si cominciano a produrre anche ottimi insaccati come salami, mortadelle, che sono gustosi e buoni, seppur di consistenza diversa a quelli a cui si è abituati in Italia. Qui in Russia poi c’è molto pesce: cozze, calamari, ricci, ostriche, tutti prodotti che prima di otto anni fa quasi non c’erano sul mercato. Queste nuove sanzioni poteranno inevitabilmente a scoprire altre materie prime che magari in precedenza conveniva importare». 

Il menù mantiene lo stesso tenore?
«L’obiettivo è mantenere lo standard precedente. Se vogliamo parlare dei prezzi, pur andando contro il mio interesse, cerco di mantenere gli stessi, diminuendo i margini di ricarico a scapito nostro. D’altronde è l’unica alternativa per mantenere la clientela».

E l’atmosfera in cucina com’è?
«Al lavoro non si parla di politica, ci si aiuta l’uno con l’altro e basta. L’unica regola nei miei locali è il rispetto degli altri, infatti, quando ci sono feste cristiane tutti fanno gli auguri a tutti, così come quando accade per festività ebraiche o musulmane. C’è grande rispetto perché e, ne sono convinto, la Russia è un Paese democratico, in cui non c’è la discriminazione che in tanti provano a dipingere da fuori, ma grande rispetto. Per quanto riguarda ciò che sta succedendo, ognuno ha la sua visione delle cose e dei fatti e la rispetto, ma non giustifico la russofobia che c’è a più livelli in questo momento».

Tre dei suoi locali erano nella guida Michelin, prima che quest’ultima sospendesse l’attività in Russia fino al 2023: che ne pensa?
«Se devo essere onesto, la ritengo una scelta discriminatoria e di parte, che non ha motivo di esistere perché cucina e politica non devono essere mischiate. Non è giusto che il lavoro e la passione della gente venga penalizzato in questo modo, non fa onore né al blasone della Michelin né agli organizzatori dei 50 Best. Non ho avuto modo di parlare con altri colleghi, ma so che molti, almeno finché le cose non si calmeranno, guardano verso il mercato asiatico e medio-orientale. Chissà che da questa situazione intricata non nascano anche delle opportunità, oltre ai grattacapi».

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