L’Osservatorio femminicidi, quel dono prezioso di Michela Murgia a Repubblica

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“Serve un osservatorio sui femminicidi, non possiamo non averlo”. Se ne uscì così un pomeriggio di tre anni fa. Lo disse in redazione, dove un giornalista e diverse giornaliste di Repubblica – perché le cose delle donne, si sa, se le scrivono soprattutto le donne – erano lì con lei per dare forma a quell’idea. Al tempo, la scrittrice era consulente per i team social. E oggi che Michela Murgia è morta, a Repubblica e di sicuro in tanti altri giornali, la sua voce si sente ancora più forte. Come un pungolo. Una spina nel fianco. Potente quella vocina nell’orecchio di chi scrive di femminicidi: non si spegnerà più. “Che titolo hai fatto?”. “Lui soffriva poverino, per questo l’ha ammazzata”. “Come no, è stato un raptus”.

L’OSSERVATORIO FEMMINICIDI

Espressioni ormai bandite dal linguaggio, che lei ha stigmatizzato senza pietà e il radar dei lettori ha imparato a captare e non perdonare più. A lungo ha lavorato con instancabile dedizione alla sua ‘Rassegna sessista’ su Instagram. Cinquanta puntate. Una carrellata impietosa di pregiudizi, discriminazioni, vittimizzazioni secondarie stampate e mandate online dai quotidiani nazionali. A poco è servito l’ombrello bucato della cronaca (vedi alla voce ‘nera’): pensiamo a cosa succede quando la vittima è giovane, bella, con i social pieni di foto. Ci siamo finiti anche noi in quella rassegna, adorata dalle sue tante figlie spirituali. Ma grazie a lei, sempre meno. Rimproveri fastidiosi, certamente. Frustate preziose.

L’osservatorio di Repubblica sui femminicidi è l’eredità che Michela Murgia ci ha lasciato. Abbiamo sbagliato? Tantissimo. Sbaglieremo ancora? Sicuro. Quello di cui però non potremmo più fare a meno è interrogarci, sempre. Metterci in discussione, come giornalisti sulla responsabilità che abbiamo. La valenza inestimabile del nostro Osservatorio femminicidi sta nel solo fatto di esistere. Sapere di avere uno spazio dedicato a questi temi ci obbliga a riflettere, a sentirci chiamati in causa. Abbiamo preso un impegno, oggi lo riconosciamo come dovere.

Morte o mortificazione: che cos’è un femminicidio di Michela Murgia

Michela Murgia ci ha insegnato le parole per dirlo. A partire da quella, femminicidio, di cui lei ha dato una lettura da manuale nella presentazione per il debutto della nostra iniziativa. “La morte fisica è possibile solo dove è già stata consentita la mortificazione civile, cioè tutte le negazioni di dignità fisica, psichica e morale rivolte alle singole donne in quanto tali e alle donne tutte nella loro appartenenza di genere”.

Morte e mortificazione. L’attivista castigatrice è stata sbeffeggiata, derisa, insultata. Lei, quell’esaltata fondamentalista. La moralizzatrice indispensabile ha però cambiato il nostro racconto e le nostre teste, ci ha contagiati tutti con il virus del rispetto. Ora siamo qui senza di lei. Più ricchi, forse migliori, di sicuro molto molto più scomodi. E per questo non smetteremo mai di ringraziarla.

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