Luca Barbareschi: “Sono d’accordo con Favino. Penélope Cruz in ‘Ferrari’ pare l’Esorcista”

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VENEZIA –   Al Lido per la presentazione di The penitent – a rational man, il film che Luca Barbareschi  (produttore, regista e protagonista) porta fuori concorso alla Mostra da una pièce di David Mamet, la questione sollevata da Pierfrancesco Favino che si chiede perché un ruolo di italiano come Enzo Ferrari sia stato interpretato da Adam Driver rispunta.

“Sono d’accordo con Favino ma io lo dico da tempo. Non è neanche una questione solo di lingua, decidiamo: vogliamo fare l’eccezione culturale italiana o no? Quando ho girato J’accuse in Francia in francese i produttori ci hanno messo i soldi e poi ho fatto The Palace di Polanski in inglese e i francesi i soldi non li hanno messi” sottolinea chiaramente Barbareschi. 

E non si limita a dare ragione a Favino, ma Barbareschi spiega anche perché per lui la questione è tutt’altro che chiusa: “Tutto il mondo recita nelle lingue di appartenenza – dice infatti – solo noi pensiamo di doverci inchinarci agli americani finché come è successo al Giglio si va a cozzare. Il problema non è la lingua in sé – ha ragione Mads Mikkelsen  – il mio film o quello di Polanski doppiato valgono un quarto perché là c’è un melting pot di lingue bellissimo e la qualità degli attori si coglie soprattutto in originale. Mi spiace per questa polemica innescata da Favino che stimo, è uno dei più bravi attori, è un po’ strumentale. Detto questo mi piacerebbe che ci fosse un seguito, io ho detto la stessa cosa su Il Gattopardo. Immaginate le parole di Tomasi da Lampedusa in una lingua che non è italiano, non sarebbe possibile. Ho visto come nei film anglosassoni fanno parlare gli italiani, questa imbecillità è nata con il film su Gucci. In Ferrari Penélope Cruz parla con accento spagnolo cercando di essere emiliana. Sembra l’Esorcista. Non siamo secondi a nessuno con il nostro cinema, spero che ci siano da parte della politica grandi investimenti sul Paese e sulla narrazione del nostro Paese altrimenti dobbiamo lasciar che altri ci raccontino”.

Venendo al suo film Barbareschi ammette di aver amato  “la versione teatrale di questo testo tanto quanto amo la versione cinematografica che segue lo schema del thriller. La sceneggiatura scritta da un genio come David Mamet si ispira a un vero caso di cronaca, il caso Tarasoff, uno psichiatra linciato dal circolo mediatico e giudiziario – spiega il regista – la cui vita professionale e privata viene distrutta quando un suo paziente uccide delle persone e lui si rifiuta di dare i dati del suo paziente. La società decide che il colpevole non è il ragazzo, che è gay e immigrato, ma il medico tanto che poi la moglie di lui arriva a tentare il suicido. Siamo partiti di qualcosa di vero per raccontare qualcosa di più complesso e metaforico. D’altronde negli Stati Uniti si proibisce il David di Michelangelo e la lettura di Ovidio”. 

“Il percorso mio con Mamet è di lunga data, sono quasi cinquant’anni che siamo amici e traduco tutte le sue opere per l’Italia. Ho condiviso con David tanti temi religiosi, politici, macro economici chiedendogli di darmi le cose in anteprima perché le trovo molto interessanti. Tra l’altro manda un saluto ma non può essere qui perché fa parte del sindacato in sciopero. Questo non è un film facile: parla male della stampa e del meccanismo giudiziario, sono grato alla Rai per avermi aiutato a produrre questo film e ad Alberto Barbera per averlo voluto qui insieme al film di Roman Polanski”. 

Poi confessa però: “So di stare sulle palle, sono 50 anni che mi interrogo sul perché, forse perché sto sempre da una parte… quella del mio pensiero”. Ma fa anche una considerazione: “Mi sento privilegiato e felice, sono a Venezia con due film, se mi avessero detto 50 anni fa di venirci con un film prodotto per Polanski e un altro diretto da me e scritto da David Mamet non ci avrei creduto. Qua non mi vogliono, mi imbuco alle feste, ballo con il direttore Alberto Barbera, non mi faccio rovinare il momento”.

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