M5S, l’insofferenza degli eletti del Sud: “Se entriamo nel governo Draghi lo strappo sarà insanabile”

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Il Sud li ha esaltati. Il Sud rischia di scaraventarli giù dagli altari romani. C’è chi usa parole definitive. “Se entriamo nel governo Draghi assisteremo a una lacerazione insanabile, è un punto di non ritorno”, avverte Marì Muscarà, la docente che siede nel consiglio regionale della Campania che ha tributato ai 5S quella valanga del 50-60 per cento, nel 2018, tra città e area metropolitana. C’è chi dalla Calabria senza mezzi termini evoca i tempi in cui lo scontro si faceva fisico : “I nostri vertici che ci usano come prestanomi devono ringraziare il cielo, oggi, che noi siamo una generazione non violenta”, esorcizza Natalina Giungato di Crotone, “altrimenti le mazze si prendevano”.

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C’è chi li vorrebbe fuori, nel più classico processo di parricidio politico : “Se ne devono andare loro, a testa bassa, non noi. Loro si devono vergognare di quello che sta accadendo”, tuona Matteo Brambilla che, a dispetto del cognome, è consigliere comunale a Napoli e addirittura sfidó De Magistris 5 anni fa nella corsa a sindaco, con Beppe e Di Maio al suo fianco e il fondatore che non poteva rinunciare a fare il comico . “Lo so, abbiate pazienza, Matteo c’ha un cognome così, è buono, è pacato, è perfino juventino , lo so, ma vedrete che farà bene a Napoli”, Brambilla fu sconfitta ma era comunque un Movimento fa, altra concordia, altra era. E c’è chi, tra i big, addirittura oggi evoca sentenze dall’altro mondo. “Secondo me Gianroberto Casaleggio lo ha scomunicato Beppe, da lassù. Ma come fai a dire ‘Draghi grillino’, dai, un po’ di senso del ridicolo”, dixit il senatore Elio Lannutti.

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Voci d’ira. Dissenso senza filtri. Eppure è una protesta ragionata, spesso argomentata e pacata (soprattutto per merito degli attivisti giovani) quella che scorre lungo chat e social da 72 ore. E che culmina, martedì sera, nella lunga diretta Fb della giornata “Vaffa Draghi”. Inziativa , quest’ultima, che nasce tra Napoli e Salerno e deve molto alla capacità di un tenace ortodosso pentastellato : l’appena 23enne Luca Di Giuseppe, tra i più giovani facilitatori M5S campani , studente di Giurisprudenza a Salerno, vicinissimo alle posizioni di Di Battista. “Bene il rinvio del voto su Rousseau. Uno strumento superato? Davvero? Io penso invece che quello strumento ci ha consentito di unirci, contare. Avanzare. E ora vorremmo liberarcene, perché? Invece. Come è sempre stato, su vota sulla piattaforma e quell’esito deve essere vincolante. Così come dicevano le nostre regole”.

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Non è l’ingenuità del ragazzo. Perché il Luca-pensiero è seguito e applaudito idealmente da centinaia di consiglieri, e dai 50 della fronda romana. Ed è lui che fino a mezzanotte darà l la parola a consiglieri e senatori, semplici attivisti e maturi graduati, da un capo all’altro del Paese.

“Questa cosa qui, che stanno facendo a Roma, non è più il M5S”, aveva tagliato corto Brambilla da Napoli. Territorio cruciale per i 5S che, in verità, già otto anni fa si presentava come laboratorio di due visioni alternative: quella a sinistra di Fico, e quella di Di Maio che non a caso finirà per allearsi con Salvini, a fronte dei mal di pancia sempre più espliciti di Roberto, il ‘compagno’ di Posillipo.

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Ora però la frattura fa paura a tutti, vista dagli inquilini dei Palazzi romani. Una linea di disillusione che spacca in due il Movimento: lì nella capitale i governativi , osteggiati dalla pattuglia di Dibba; qui , nelle lande di un Sud reso più povero, fragile, più teso dalla pandemia , quelli che “ci avevano creduto” . Così Carmela Auriemma, altra giovane laureata da Acerra: “Ma noi lo sappiamo quello che stiamo facendo ? A chi devo ricordare che Draghi, con dovuto rispetto per il curriculum, rappresenta tutto quello contro cui ci siamo battuti come linee di principio? Noi eravamo quelli che si ponevano contro le ingiustizie economiche e sociali”.

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