Dai check-point russi ormai si spara anche sugli autobus carichi di scolari: quattro ieri i bambini feriti. “Senza vie di fuga – dice Vjoleta, docente di matematica all’università – moriremo tutti. Ogni giorno cresce la montagna dei corpi per le strade. Putin pretende la catastrofe umanitaria: per addossare la vergogna ai nazionalisti che, rifiutando la resa, la starebbero rendendo inevitabile”. L’Ucraina resiste all’invasione russa grazie al coraggio del popolo. Più dell’esercito di Kiev, il nemico del Cremlino: per questo i missili a Mariupol devono eliminare le persone. Esse sono però così consumate, isolate e terrorizzate, che l’accelerazione di tale consapevolezza comincia a incrinare la forza collettiva. Bloccare le vie di fuga verso l’interno della nazione equivale a spingere decine di migliaia di profughi nei quartieri est della città, conquistati da Kadyrovtsy e milizie del Donbass: da qui i treni deportano solo verso la Russia.
Nei centri di accoglienza di Zhaporizhzhia, i sopravvissuti non parlano più del loro personale calvario. Si interrogano sul destino delle rovine di Mariupol. “Per ricostruire – dice Tymofiy, ingegnere nello stabilimento Azovstal distrutto – ci vorranno fra 30 e 50 anni. Chi lo farà? I russi? Con i soldi di Europa e Usa? Serviranno generazioni di violenza per imporre un potere ostile alla gente che hai massacrato”. Per gli invasori, quello che definiscono “cappio” soffocherà ufficialmente Mariupol non prima di una settimana. “La città è grande – dice Denis Pushilin, capo delle milizie separatiste filorusse di Donetsk – ci vuole tempo per pulirla. Abbiamo la lista con i nomi di chi eliminare: li staneremo dalle cantine dove per salvarsi sequestrano la gente che muore di fame”.
Fra 3 e 5 mila le vittime civili: un’altra settimana, per i vivi, non è immaginabile. “Sono sicura che morirò prima – il messaggio di Nadezda Sukhorukova – spero solo che non sia così spaventoso. I cadaveri si mettono al freddo sui balconi: chissà quanti corpi sono esposti davanti alle nostre finestre senza vetri”. Il tempo di Mariupol è scaduto: chi va per mare e chi semina la terra, è già oltre l’attesa. Cinque navi ucraine con migliaia di tonnellate di grano sono state trainate ieri al largo del Mare d’Azov da rimorchiatori russi, come bottino di guerra. I trattori vengono precipitosamente portati via dalle campagne dell’intera regione. Per evitare che finiscano nelle mani degli invasori, i contadini chiedono aiuto ai blindati dell’esercito. Senza grano, navi, acciaio, case, porto, acqua, cibo, elettricità e persone, per Mariupol la resa ai russi “è fuori discussione”. Vero: qui non c’è più qualcuno che possa discutere.
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