Marò, l’India accetta il risarcimento: caso chiuso con 1,3 milioni di euro

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NOVE ANNI dopo la morte dei due pescatori indiani Ajeesh Pink e Valentine Jelastine, l’incidente internazionale che dal 15 febbraio 2012 ha devastato i rapporti diplomatici tra l’Italia e l’India si chiuderà con un risarcimento di un altro milione di euro alle famiglie delle vittime: non appena l’Italia verserà la cifra pattuita, per i due marò italiani Massimiliano Latorre e Nicola Girone, accusati di aver sparato al peschereccio ritenendolo un attacco di pirateria, la vicenda giudiziaria indiana sarà acqua passata. La Corte suprema dell’India dichiarerà il caso definitivamente chiuso.

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La notizia, arrivata oggi dall’India, è l’esito naturale di un lungo contenzioso giudiziario che era arrivato a una svolta decisiva lo scorso luglio, quando finalmente la Corte arbitrale in cui giaceva il caso aveva sentenziato salomonicamente ritenendo l’Italia responsabile della morte dei due pescatori, come sostenuto da Delhi; ma affidando a Roma la giurisdizione del processo penale per i due omicidi, come l’Italia aveva sempre sostenuto.

Mar&ograve;, la verit&agrave; degli italiani su quei 33 minuti.<br />Il giallo: i fucili erano quelli di altri soldati

Per ordine della Corte arbitrale internazionale, a cui i due Paesi si erano rivolti per dirimere un garbuglio giudiziario e diplomatico ormai inestricabile, l’Italia avrebbe dovuto quindi trovare un accordo con l’India per compensare la perdita di vite umane, i danni fisici, il danno materiale all’imbarcazione e il danno morale sofferto dal comandante e dall’equipaggio del Saint Anthony; il processo, invece, è incardinato dalla procura di Roma con l’accusa pesante di “omicidio volontario” a carico dei due fucilieri.

Mar&ograve;, per polizia indiana &quot;indagine chiusa&quot;. <br />Altri 4 fucilieri potrebbero non essere sentiti

L’indagine è affidata ora al sostituto procuratore Erminio Amelio: ricevute le carte dal Tribunale internazionale dell’Aja, la procura le sta analizzando per decidere come procedere. Nel frattempo, lo Stato italiano verserà su un conto del ministero degli Esteri di Delhi i 100 milioni di rupie (circa 1,1 milioni di euro) pattuiti come risarcimento finale. La somma si aggiunge ai 245mila euro versati subito dall’Italia alle famiglie per tentare di ammorbidire la linea giudiziaria durissima intentata dallo stato federale del Kerala, la punta meridionale dell’India.

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L’incidente avvenne a metà pomeriggio del 15 febbraio 2012, mentre il peschereccio era in trasferimento nella lunga battuta di pesca che durava da una decina di giorni. Una pesca notturna, per cui a quell’ora tutti gli undici membri dell’equipaggio dormivano sotto coperta tranne Valentine, che era al timone, e Aieesh, un ragazzino 17enne che era a poppa. Le versioni sulla dinamica divergono a questo punto in modo radicale.

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In base alla testimonianza dei sopravvissuti, l’India sostiene che i due fucilieri di guardia nella squadra di sei a bordo della nave Enrica Lexie – in servizio proprio per proteggere la nave da atti di pirateria – avrebbero fatto improvvisamente fuoco verso il peschereccio senza mettere in atto i sistemi obbligatori di dissuasione come suonare ripetutamente le sirene e sparare in aria. L’Italia ammette che ci sia stato un tentativo di abbordaggio quel giorno ma in un orario differente, e i fucilieri sostengono di avere suonato l’allarme e sparato i previsti colpi di avvertimento mirando lontano dalla barca.

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Quel pomeriggio in effetti anche altre navi molto simili alla Enrica Lexie avrebbero subito un avvicinamento sospetto da parte di barchini: in quella zona erano tuttavia frequenti gli incidenti tra i piccoli pescherecci e le grandi navi sulla rotta verso l’Asia, ed erano rari gli eventi di pirateria e attribuibili a milizie partite dallo Sri Lanka e non dall’India. In ogni caso, il peschereccio Saint Anthony rientrò in rada con due morti a bordo e sedici fori di proiettile compatibili con quelli sparati da due fucili in dotazione al gruppo di fucilieri.

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Anche questo punto è misterioso: a sparare non sarebbero stati i fucili di Latorre e Girone, rispettivamente il responsabile e il vice del gruppo di fucilieri, ma quelli di due sottoposti. In ogni caso Latorre e Girone affermarono di essere stati loro a sparare per respingere un potenziale attacco, ma solo dopo aver dato l’allarme sonoro e sicuri di non aver colpito nessuno.

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Dopo un lungo braccio di ferro diplomatico e giudiziario, Latorre e Girone sono rientrati in Italia rispettivamente nel 2014 e nel 2016. Chiusa la vicenda internazionale e i conti in sospeso con l’India, dovrà ora iniziare il processo penale per accertarne le eventuali responsabilità sulla morte dei due pescatori.

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