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Mascherine cinesi, parla il manager del marchio CE2163: “Noi testiamo i campioni, ma sul mercato finisce altro. Ecco come riconoscere le truffe”

“Non possiamo verificare ogni mascherina in vendita. Noi valutiamo i campioni che ci mandano i fabbricanti e su quelli garanitamo. Però abbiamo scoperto sul mercato un elevato volume di Ffp2 contraffatte che portavano il nostro marchio”. Parla a Repubblica l’uomo del CE2163, al secolo Osman Camci, direttore della UniversalCert, la società di Istanbul che ha validato i più grossi stock di dispositivi di protezione individuale importati dalla Cina. Il marchio di conformità alle direttive europee rilasciato dalla UniversalCert, il CE2163, si trova impresso su tantissimi modelli. Nelle settimane scorse è finito nella bufera perché alcuni laboratori indipendenti ne hanno messo in dubbio la capacità filtrante. E l’Olaf, l’Agenzia europea antifrode, dopo alcune segnalazioni (una anche dall’Italia), ha aperto un’istruttoria a ampio raggio.

Alcune delle Ffp2 da voi certificate non sono risultate buone. Perché?

“Noi della Universal Certification proviamo i campioni, e poi facciamo controlli random sulla produzione. Ma non ci è possibile verificare ogni singolo pezzo. E comunque vi invito a consultare i siti tedeschi che hanno paragonato diversi modelli di mascherina: su dieci campioni testati, 5 hanno il brand 2163 e tutti hanno un adeguato potere di filtraggio delle particelle”.

Delle due, l’una. Se non c’è una vostra responsabilità, vuol dire ch sono le aziende che vi fanno certificare un prodotto e poi ne mettono in giro un altro. Sta dicendo questo?

“Può accadere che succeda, anche senza malafede. All’inizio della pandemia c’erano poche mascherine disponibili e carenza di materiali per fabbricarle. Abbiamo osservato fluttuazioni nella qualità dei dpi che andavano di pari passo con la disponibilità di tessuti di qualità. Ma, ribadisco, l’Ente certificatore non ha il dovere o la responsabilità di verificare l’intera produzione di un fabbricante”.

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Chi lo deve fare allora?

“Dopo che sono stati certificati i campioni di un prodotto, sono le autorità nazionali di sorveglianza dei mercati ad essere responsabili di sorvegliare che i prodotti commercializzati siano conformi agli standard”.

Gli enti certificatori riconosciuti dall’Unione Europea sono tanti, eppure la maggior parte delle aziende cinesi si è rivolta a voi. Come lo spiega?

“Siamo attivi da 16 anni e dal 2009 siamo Ente notificato. All’inizio della pandemia c’erano 30 Enti notificati in Europa e solo 5 avevano uffici in Cina, riconosciuti dal governo di Pechino. La nostra filiale cinese e la nostra esperienza ci hanno consentito di diventare leader del mercato. In più, la nostra sede centrale ha avuto un permesso speciale per lavorare in regime di straordinario durante il lockdown”.

Quanti fornitori cinesi avete certificato?

“Secondo la China Chamber of Commerce circa 300 su un totale di 1.500 produttori”

E quanti modelli?

“Abbiamo certificato 850 modelli di FFp1, FFp2, FFp3: 650 erano cinesi, 130 erano turchi, 70 erano europei. Ne abbiamo respinti 300 perché non superavano gli standard. Tra i modelli certificati, ne abbiamo poi sospesi  100 a seguito di indagini delle autorità a tutela del mercato o dopo controlli di routine sulla produzione. Stiamo facendo del nostro meglio per cooperare con le parti interessate ad assicurare la qualità delle mascherine”.

Dicono che il vostro successo dipenda invece da tempi di rilascio della certificazione più brevi rispetto ad altri Enti, a discapito della qualità. Siete in grado di dimostrare il contrario?
“Non siamo più rapidi, le nostre tempistiche sono simili a quelle di altri Enti. La durata media è da due a tre mesi, in alcuni casi fino a sei mesi. Il nostro ufficio in Cina può contare su 49 persone e la sede in Turchia su 132”.

Se è tutto in regola perché è stata aperta un’inchiesta su di voi l’ufficio antifrode Ue?

“L’Olaf e altri enti competenti possono avviare indagini di questo tipo in qualsiasi momento. Stiamo già collaborando con queste organizzazioni, che comunque non sono direttamente connesse con noi”.

Le certificazioni rilasciate da voi sono finite nel mirino della Procura di Trieste, che nei mesi scorsi ha sequestrato un ingente quantitativo di mascherine FFP3 destinate alle Forze dell’ordine del Friuli-Venezia Giulia. Potete dimostrare che i vostri test su questi prodotti rispettano le procedure?

“Nel caso in oggetto, un esame condotto dalle autorità italiane ha indicato che un prodotto non offriva un adeguato livello di protezione e ne è stata impedita la distribuzione sul mercato italiano. Si tratta di attività di routine delle autorità di sorveglianza dei mercati e delle autorità doganali. In casi come questi, è possibile che esista un problema relativo a un particolare lotto di un produttore. Nel caso specifico, dopo l’evento abbiamo riesaminato nel nostro Paese, insieme a funzionari del Ministero, i campioni ancora in nostro possesso utilizzati nella prima certificazione e ne è risultato che non si è verificato alcun problema nel nostro processo di certificazione. D’altro canto, il produttore sostiene che gli articoli interessati non siano stati fabbricati da lui, ma siano contraffatti”

Ma come può un consumatore districarsi in questa giungla? Certificati taroccati, mascherine marchiate CE che poi non risultano buone…C’è un modo definitivo per evitare truffe pericolose per la salute?

“Ci stiamo lavorando assiduamente. UniversalCert mette un QR code su tutti i certificati: fotografandolo si accede al nostro database con le immagini delle mascherine da noi analizzate. Così il consumatore non si può sbagliare. Serve però un passo ulteriore: stiamo spingendo perché i produttori mettano il QR code sulle confezioni di mascherine”.



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