Mascherine: ecco cosa farne dopo l’uso per aiutare l’ambiente

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Provate a fare un esperimento. Camminate lungo una qualsiasi via della vostra città, una spiaggia, un marciapiede o il sentiero di un parco: provate a contare quante mascherine vedete per terra. State certi che, anche per via delle paure e le attenzioni dovute alla pandemia, saranno tante e quasi nessuno le raccoglierà. Finiranno per rimanere nel terreno, oppure volare col vento, giungere nei campi, nei fiumi, nei mari. Sta già accadendo, ed è un problema di cui vediamo solo la punta dell’iceberg: ogni minuto nel mondo vengono utilizzate 3 milioni di nuove mascherine, quasi 130 miliardi al mese al mese. Se anche solo piccole percentuali dei nostri dispositivi di protezione anti Covid-19 finiscono nell’ambiente, è facile immaginarsi la portata di questa nuova e pericolosa forma di inquinamento che sta colpendo il nostro Pianeta.


Sono mascherine fatte per lo più di fibre di plastica, capaci di rimanere in ambiente per secoli prima di degradarsi. Secondo stime decisamente al ribasso, lo scorso anno alcune associazioni ambientaliste hanno ipotizzato che negli oceani siano finite 1.65 miliardi di mascherine. Un problema che è solo agli inizi, come testimonia una delle foto vincitrici del recente World Press Photo 2021, in cui Ralph Pace immortala un leone marino che nuota verso una mascherina che fluttua nel mare.

Fotografia

World Press Photo 2021, il leone marino e la mascherina: l’ambiente in uno scatto

Eppure di questa forma di inquinamento si parla pochissimo, la salvaguardia delle vite umane è ovviamente la priorità e la dispersione in ambiente dei dispositivi di protezione è qualcosa che passa in secondo piano. Così accade che nell’anno in cui l’Europa avrebbe dovuto celebrare – per esempio – la vittoria per l’inizio dei divieti dei monouso in plastica, una nuova forma di inquinamento proprio  “usa e getta” rischi di compromettere tutti gli sforzi fatti finora. Perché seppur piccole e tendenti a trasformarsi in microplastiche, quella delle mascherine dirette in mare e natura è una nuova ondata di plastica che può seriamente compromettere gli ecosistemi.

Inquinamento

Mascherine, da montagna di rifiuti a un mare di microplastiche

UNA TRAPPOLA PER ANIMALI. Una bomba ecologica che in futuro potrà impattare direttamente sulla nostra salute, come le microplastiche ormai trovate in ogni alimento e in ogni luogo, e che sta già colpendo la vita di migliaia di animali. Non a caso ricercatori olandesi hanno già testimoniato, lanciando anche una raccolta di informazioni condivisa, come i lacci delle mascherine stiano intrappolando diversi animali, da uccelli a mammiferi e come le mascherine e i guanti abbandonati stiano soffocando pesci,  pinguini, tartarughe, cigni, ricci, gatti e via dicendo.

Ambiente

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IL RECUPERO. Una onlus internazionale americana, la Ocean Conservancy, gli scorsi mesi ha organizzato la sua annuale pulizia delle coste con volontari da tutto il mondo. Per la prima volta non hanno trovato solo frammenti di plastica di ogni tipo, attrezzi da pesca e altri inquinanti, ma hanno recuperato soprattutto dispositivi di protezione medica. Da spiagge e corsi d’acqua, solo negli ultimi mesi del 2020, hanno rimosso quasi 110 mila mascherine e guanti. Oggetti che se non fosse per qualche volontario o persona attenta all’ambiente, nessuno si impegnerebbe a rimuovere viste le paure da pandemia.

LE MICROPLASTICHE. In uno studio apparso su Environmental Advances, oltretutto, è stato dimostrato il difficile e lento degrado delle mascherine una volta che finiscono in mare. In acqua, una singola mascherina potrebbe rilasciare fino a 173 mila microfibre di plastica al giorno negli oceani. Per quante ne stiamo disperdendo, si stima che in media siano quasi 5.500 tonnellate metriche di plastica in più che finiscono all’anno nei mari, e sono stime decisamente basse.

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LO SMALTIMENTO. Anche se ci sono regole precise, come quelle di smaltirle nella differenziata o di non gettarle mai in ambiente, la natura “usa e getta” di questi prodotti sembra non riuscire a fermare la dispersione, motivo per cui molte associazioni ambientaliste chiedono per esempio di ripensare alla composizione dei Dpi, dato che la pandemia è tutt’oggi difficile da fermare, diffondendo magari mascherine riciclabili, lavabili, riutilizzabili.

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L’INQUINAMENTO. Seppur molte aziende e startup si stiano impegnando in questi sviluppi, per ora a prevalere sono comunque i modelli monouso, non riutilizzabili. In Paesi come la Cina, si stima che ogni giorno vengano scartati quasi 702 milioni di maschere per il viso. In Asia che ne siano gettate 1,8 miliardi al dì. Se pensiamo che la maggior parte dei dieci grandi fiumi che contribuiscono ad inquinare gli oceani sono proprio in Asia, è facile immaginarsi quale sarà il prossimo problema di inquinamento ambientale. Le mascherine si stanno già trovando a profondità notevoli negli oceani, oppure incastrate fra le barriere coralline già in sofferenza. Fibre di polipropilene che rimarranno lì per decenni, secoli, frammentandosi.
 

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POCA INFORMAZIONE. Sono già ovunque: nelle coste indonesiane, sulle spiagge del Kenya, e a New York o in Canada hanno perfino intasato alcuni sistemi fognari. Molto spesso, come ha ricordato Joana Prata, ricercatrice dell’Università di Porto autrice di uno studio sulle ripercussioni delle pandemie, c’è una assenza di informazioni precise e chiare sullo smaltimento e sui danni di una cattiva gestione dei rifiuti come le mascherine usate.

COSA FARE DOPO L’USO. Secondo gli esperti per invertire la rotta servono dunque campagne di sensibilizzazione, ideazioni di maschere in stoffa funzionali e lavabili, più sicurezza nella gestione dei rifiuti legati ai Dpi, contenitori e bidoni appositi. Sono utili anche piccole attenzioni, come per esempio tagliare i lacci delle mascherine, che potrebbero intrappolare o impigliare gli animali, una volta finito di usarle. E servono idee. Nel mondo diverse startup, anche se si tratta perlopiù di progetti sperimentali, stanno provando a rilanciare dispositivi fatti di canapa, bambù, cotone e materiali che siano differenti dalle fibre di plastica.

PER FARE UN ALBERO. Nell’India che sta attraversando una devastante ondata di pandemia, con oltre 2 mila vittime in un solo giorno, la startup Paper Seed Co, nella periferia di Mangaluru (Karnataka meridionale), sta addirittura tentando una strada impensabile: una mascherina protettiva usa e getta in grado di trasformarsi in un albero.  


Una scommessa che ha più il sapore di una sfida per sensibilizzare, ma che sta comunque richiamando l’attenzione sui social indiani. La mascherina, composta di più strati di cotone, è ecologica e all’interno ha dei semi: se finisce in ambiente, in un terreno, si degrada e rilascia il seme dando potenzialmente vita a una pianta. Assicurano che sono sia efficaci come protezione al Covid-19, sia per l’ambiente. Una soluzione sostenibile che fornisce  uno spunto nella direzione in cui si potrebbe lavorare per una maggiore consapevolezza delle mascherine come rifiuti.

L’ATTENZIONE E IL RICICLO. Altrove, organizzazioni come The Ocean Agency, in collaborazione con altri partner, stanno invece puntando a una sensibilizzazione fatta di progetti di comunicazione: per esempio mostre fotografiche e raccolte di immagini online, di fotografi e subacquei, per condividere e diffondere in tutto il mondo l’impatto che le mascherine abbandonate stanno avendo sugli ecosistemi. Anche in Italia, tra tante iniziative per rilanciare mascherine riutilizzabili, e progetti proposti per esempio da Enea (agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) per sviluppare degli appositi cestini da piazzare all’esterno di farmacie e negozi, metodi di sensibilizzazione alternativi cominciano a fare breccia. Di recente lo street artist Andrea Villa ha per esempio lanciato una campagna sui muri della città di Torino dal titolo #maskpollution  proprio per sottolineare l’inquinamento da mascherine, sostenendo che “in questo periodo storico l’arte non può rimanere passiva ma deve agire e non essere solo più un orpello avulso dal contesto reale”.

Tutti possiamo fare qualcosa, e dopo la nostra passeggiata, ricordarci sempre la cosa più importante: gettare la nostra mascherina consumata nella differenziata e sigillare il sacchetto per bene. E’ un piccolo gesto, ma ne va del nostro futuro.

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