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Massimiliano Alajmo, la dedizione di un predestinato

Una lucida pacatezza lo descrive, saldo nel ruolo che ne definisce il profilo da chef alla guida di un impero della ristorazione condotto al fianco del fratello Raffaele. È così che Massimiliano Alajmo, chef de Le Calandre (e non solo) svetta dal palco della kermesse ‘C’è + Gusto a Bologna’ nel dialogo condotto da Eleonora Cozzella, durante il quale si è confrontato con Dario Silvestro, mental coach e autore del libro “Il potere del cambiamento”.

“Il cambiamento è quotidiano, ogni giorno una sfida – esordisce lo chef Alajmo – È guardare ogni giorno con occhi nuovi una pietanza, un ingrediente”.  Un predestinato che non nasconde le insidie: “Quando studiavo all’alberghiero gli amici mi prendevano in giro, dicevano che a scuola facevo l’uovo al tegamino! Vivevo la frustrazione con consapevolezza, perché sapevo dove volevo andare”. E al suo obiettivo ci è arrivato, ben presto, diventando a soli 28 anni il più giovane chef con tre stelle Michelin. “Avevi la consapevolezza senza esperienza, per questo c’è stata la paura – è intervenuto Silvestri – In Italia, nel pensiero comune, un giovane non deve avere successo perché è senza esperienza”. Un paradigma che Massimiliano Alaimo ha stravolto, di cui non tace l’iniziale paura e quanto sia stata difficile nel primo periodo tristellato.

“Performance è diverso da obiettivo – sintetica Alajmo – La performance è la dedizione che metti in ciò che fai, la gestione dei rischi, il controllo della paura, tutto con l’obiettivo che persegui bene in mente. Poi la performance finisce, nella sua natura ciclica. il nostro mestiere è trasmettere, consegnare e condividere. Non cuoco ma ristoratore, il nostro obiettivo è portare avanti il pensiero, portarlo a chi ne faccia altro”. Concorde sulla ciclicità della performance il mental coach Silvestri che ha sottolineato più volte l’importanza del cambiamento: “È la chiave fondamentale, portare avanti il cambiamento significa avere coraggio davanti alla paura, liberarsi dalle catene della paura che rischiano di segnare e deviare il persocro che si vuole solcare”. 

Non uomo solo al comando, ma affiancato dal fratello Raffaele e da un team che ha costruito, e non smette di farlo, con caparbietà. “Costruire una relazione è quello che conta, lavorando così tante ore insieme se non c’è relazione si innesca il conflitto” sintetizza lo chef che invece cerca l’armonia. Lui che in cucina non smette di ascoltare per comprendere: “I ragazzi li scelgo per attitudine, intenzione e capacità di ascoltare, di interpretare. Per la capacità di relazionarsi con la squadra e con gli ospiti, di portare aventi il pensiero”. Allineati i due relatori, come ha specificato Silvestri “per fare un team serve capire le persone. Si crede che il capo sia fortunato, colui che comanda, ma è la persona più attenta ai bisogni tutti”. Solo così si è non solo un capo, ma un buon capo. E Alajmo sembra proprio esserlo.



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