Matteo Messina Denaro, spunta un’altra identità

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Un magazzino, un garage dove nascondeva un’auto comprata personalmente a Palermo e due rifugi, che aveva avuto il tempo anche di arredare con poster e calamite. Più passano i giorni, più l’ipotesi iniziale si conferma: a Campobello di Mazara Matteo Messina Denaro ci stava da tempo.

Ma in quel paese di undicimila anime, a quanto pare nessuno lo aveva riconosciuto. L’ormai ex superlatitante lì avrebbe usato un nome di copertura diverso da quello di Andrea Bonafede, identità di un geometra 59enne che in paese conoscevano tutti, non fosse altro perché nipote di un noto capomafia di zona.

“Io lo conoscevo come Francesco”, ha detto Giovanni Luppino, l’autista del boss fermato con lui lunedì scorso alla clinica “La Maddalena” e da allora in carcere. “L’ho visto solo due volte”, avrebbe detto ai magistrati della procura di Maurizio de Lucia, che lo hanno iscritto sul registro degli indagati per favoreggiamento e procurata inosservanza di pena, entrambi aggravati dall’aver favorito la mafia.

Non è l’unico. Insieme a lui c’è anche Andrea Bonafede, che con gli inquirenti avrebbe fatto parziali ammissioni, e due medici. Uno, Alfonso Tumbarello, è l’ex medico di base di Campobello che aveva in cura il vero e il falso Andrea Bonafede. Per i pm non è possibile che a entrambi prescrivesse visite e farmaci senza mai chiedersi come mai due pazienti, uno dei quali in teoria sconosciuto in paese, avessero nome identico. Insieme a lui è indagato un altro camice bianco, l’oncologo trapanese che fece l’esame genetico necessario per investigare il tipo di cancro che ha colpito il boss e gli ha prescritto la chemio.

Ma nel frattempo, anche grazie a qualche sussurro che da Campobello di Mazara inizia ad arrivare, prosegue l’indagine sulla rete di Messina Denaro coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido.

Dalla notte di lunedì, le perquisizioni non si contano. Sono state passate al setaccio abitazioni, locali, magazzini del fratello del capomafia, dell’ex legale trapanese Antonio Messina, di Giovanni Luppino, l’insospettabile agricoltore che ha accompagnato in auto il capomafia alla clinica Maddalena il giorno dell’arresto e di suo figlio, del geometra Bonafede, che a Messina Denaro ha regalato l’identità e per lui ha acquistato la casa di via Cb31 a Campobello, della madre del geometra 59enne, i cui documenti sono stati usati da “Iddu” per comprare un’auto ed erano ordinatamente conservati in uno dei covi.

Si tratta di una Giulietta che il boss ha comprato in una concessionaria palermitana e teneva in un garage del figlio di Luppino. Sull’auto si stanno svolgendo accertamenti irripetibili, mentre si continuano a passare in rassegna oggetti, carte ed elementi che saltano fuori dai due covi del boss e dal magazzino, nascosto da un fondo rimovibile di un armadio utilizzati da Messina Denaro.

L’attenzione si concentra sui cellulari,su cui ci sarebbe tracce di decine di chiamate, oltre che di messaggi vocali, inviati con note app di messaggistica. Ma si seguono tracce anche “analogiche”: pizzini, post it, ricevute, scontrini. Ogni elemento è buono per tentare di ricostruire la vita del boss e soprattutto identificare chi ne facesse parte.

E poi ci sono i covi. Che parlano di un latitante che si bea del proprio ruolo. Nel primo rifugio, quello di vicolo San Vito, a Campobello di Mazara, sono spuntate foto di animali feroci, magneti da frigorifero con l’immagine di un boss in smoking che ricorda Al Pacino nel Padrino e sotto scritto ‘il padrino sono io’, la foto attaccata alla parete di Al Pacino, sempre nel film di Francis Ford Coppola e la riproduzione della Vucciria di Renato Guttuso.

Nel covo c’erano anche un quadro a colori di Joker, il famoso personaggio dei fumetti, nella versione interpretata da Joaquin Phoenix. “C’è sempre una via d’uscita – si leggeva invece su un quadretto più piccolo- ma se non la trovi sfonda tutto”. Messina Denaro non ce l’ha fatta.

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