Messina Denaro: scatole vuote nella stanza segreta, il sospetto delle carte fatte sparire

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Nel ventre molle della provincia di Trapani, le microspie dell’Antimafia che tengono sotto controllo i complici di Matteo Messina Denaro stanno registrando un gran subbuglio. Non si fa che parlare di Iddu e del suo arresto. Mezze battute su una stradina poco distante dal covo di via Cb 31 e su alcune passeggiate da quelle parti hanno insospettito gli investigatori del Gico di Palermo, che lavoravano su un altro filone d’indagine. Uno spunto che ieri mattina è stato subito riferito ai magistrati della procura. E poche ore dopo, è stata disposta un’altra irruzione nel centro di Campobello. Guardia di finanza e carabinieri, insieme al procuratore aggiunto Paolo Guido. La pista era giusta, il proprietario di quella casa ha un cognome pesante, che riporta alla famiglia Messina Denaro. Dentro un appartamento al piano terra di via Maggiore Toselli 34 è stata trovata una stanza segreta piena di gioielli. E anche di scatole vuote, chissà se ci sono state mai delle carte lì dentro.

Un altro tassello di questa storia, in cui mancano ancora i documenti del padrino, l’archivio di Totò Riina di cui parlano i pentiti, e chissà quanti altri appunti di un capomafia in piena operatività. Per questo i carabinieri e la procura cercano ancora altri covi e altre stanze segrete in giro per la provincia trapanese.
Intanto, in via Toselli, ci sono una quarantina di pezzi di valore, per chi indaga è la cassetta di sicurezza del padrino arrestato lunedì: collane, bracciali, pietre preziose sistemate con cura dentro le custodie. C’erano anche dei vassoi d’argento sugli scaffali metallici che riempiono la stanza di tre metri per due nascosta dietro a un armadio: spostando un fondo scorrevole spunta una porta blindata. Quando finanzieri e carabinieri hanno chiesto al proprietario, lui ha subito consegnato le chiavi. Precisando: «Lì dentro c’è tutta roba della mia famiglia». Ma non convince.

Il padrone di casa e il fratello

Il proprietario si chiama Errico Risalvato, vent’anni fa venne accusato ma poi assolto dall’accusa di associazione mafiosa, suo fratello Giovanni, imprenditore del settore calcestruzzi, fu invece condannato a 14 anni, oggi è libero dopo aver scontato la pena. Ma bisogna ritornare alle sue parole intercettate all’epoca, parole di devozione per Iddu: «Gliel’ho detto un mare di volte — così raccontava a un complice la conversazione avuta con il capomafia — Me ne vado con lui, me ne sto fregando. Tanto a mio figlio non manca niente. Mia moglie lo stipendio ce l’ha… e io sono dell’avviso, Maurì, meglio un giorno da leone che cent’anni da pecora». Nel seguito della conversazione, Giovanni Risalvato raccontava la risposta del padrino: «Io ti ringrazio e so che lo fai con tutto il cuore, però mi puoi aiutare di più da lì».
Queste parole spiegano tutti i dubbi di chi indaga. Soprattutto sugli scatoloni vuoti. Forse, qualcuno ha portato via il contenuto dopo la cattura del padrino, avvenuta lunedì mattina? Gli investigatori del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo, guidati dal colonnello Gianluca Angelini, hanno accertato intanto che l’appartamento di Errico Risalvato è stato ristrutturato da circa due anni: un ulteriore tassello per cercare di capire le mosse della primula rossa. Nel 2020,sono iniziate anche le cure mediche fra Trapani e Palermo.

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La rete dei complici

Da una parte il latitante e i suoi misteri. Dall’altra, la rete che lo ha protetto. Alla lista degli indagati si è aggiunto un altro nome, è quello di Filippo Zerilli, 66 anni, primario di Oncologia medica del Sant’Antonio Abate di Trapani. Lunedì, i carabinieri hanno fatto una perquisizione in ospedale, alla ricerca di un documento medico intestato ad Andrea Bonafede, la falsa identità del latitante. Al Sant’Antonio Abate il padrino chiese un esame istologico, dopo l’intervento fatto a Mazara del Vallo, nel novembre 2020: a quel documento, gli investigatori erano interessati, ancora una volta per ricostruire i movimenti del latitante ricercato dal 1993. E torna un’altra domanda: perché Messina Denaro aveva scelto un ospedale della sua provincia? Probabilmente, perché era sicuro di godere delle necessarie protezioni. Una pista d’indagine ipotizza che sia tornato in Sicilia proprio per l’intervento. Adesso, il dottor Zerilli è indagato per procurata inosservanza della pena, con l’aggravante di aver favorito un mafioso. Sapeva o no dell’identità di quel paziente tanto particolare, che avrebbe pure visitato e avviato a un primo ciclo di chemioterapia?

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Zerilli è il secondo camice bianco che finisce sotto inchiesta in provincia di Trapani nel giro di pochi giorni. L’altro, Alfonso Tumbarello, medico di base a Mazara del Vallo, avrebbe fatto tante prescrizioni a Messina Denaro, per consentire poi il ricovero alla clinica palermitana della Maddalena, dove il boss è stato arrestato. L’Ordine dei medici di Trapani si dice pronto a intervenire: «Non ho ricevuto alcuna comunicazione ufficiale da parte della procura — taglia corto il presidente, Vito Barraco — ma oggi stesso avvierò l’iter di accertamento di eventuali violazioni del codice deontologico». Mentre la caccia agli insospettabili favoreggiatori prosegue: fra le carte trovate nel covo di via Cb 31 c’erano le ricette di un rinomato oculista palermitano.
 

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