ROMA — Confondendo volutamente espulsioni e rimpatri, il governo Meloni da un po’ di tempo sta dicendo che a settembre sarà pronto un nuovo decreto sicurezza per rendere più facile e rapido il rimpatrio dei migranti che non hanno diritto a stare in Italia. L’obiettivo dato ai tecnici del Viminale, al lavoro in collaborazione con il ministero della Giustizia, è trovare una soluzione legislativa che permetta di poter espellere immediatamente gli stranieri ritenuti socialmente pericolosi, azzerando, se necessario, le garanzie riconosciute sinora a chi è sottoposto a procedimento giudiziario o è imputato in un processo.
Stando a quanto risulta a Repubblica, e a quel poco che filtra dagli uffici ministeriali, il decreto riformerà la materia sottraendo competenze all’autorità giudiziaria a vantaggio di prefetti e questori. Esattamente come avvenuto per le sanzioni alle navi umanitarie: alcune violazioni sono state depenalizzate apposta dal legislatore per poter bypassare il potere di controllo della magistratura, e procedere così direttamente con le multe amministrative.
Nel mirino del governo, in particolare, c’è l’articolo 13 della legge Turco- Napolitano, ossia il Testo unico per l’immigrazione così come è stato poi modificato dalla Bossi-Fini. L’articolo 13 disciplina la procedura di espulsione dei cittadini stranieri per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato. Adesso funziona così: nel caso di soggetto sottoposto a procedimento penale, solo un giudice può concedere al Questore il nulla osta, previa valutazione delle esigenze processuali. In altre parole, prima di dare l’ok all’allontanamento il magistrato deve stabilire se prevalgono il diritto dell’indagato, l’importanza della sua presenza nella formazione della prova, l’adeguatezza di eventuali misure cautelari.
È dal sostanziale stravolgimento di questo articolo che si basa il nuovo decreto sicurezza, atteso all’esame del Consiglio dei ministri a settembre: l’intento dichiarato è rendere efficaci ed immediate le espulsioni degli immigrati ritenuti socialmente pericolosi. I quali, stando all’ipotesi allo studio degli uffici legislativi, non potranno rimanere neanche nel caso in cui siano presenti sul territorio i familiari di primo grado. E neppure se sono in attesa dell’esito di un ricorso contro il permesso di soggiorno negato.
Detta in sintesi: via subito dall’Italia su ordine del questore, con l’unica garanzia di poter seguire a distanza per via telematica eventuali udienze in cui sia prevista la presenza dell’indagato. Circostanza assai improbabile, viste le condizioni di molti dei Paesi di provenienza dei migranti.
La riforma è da tempo nella mente del governo Meloni. Era stata accantonata nei mesi scorsi quando con il decreto Cutro Palazzo Chigi ha preferito occuparsi, limitandoli, dei soccorsi umanitari in mare e del sistema di accoglienza a terra, i cui effetti devastanti sono sotto gli occhi di tutti in questi giorni. È tornata prioritaria dopo l’omicidio di Ines Setti, la sessantenne aggredita e uccisa a Rovereto dal nigeriano Nweke Chukwuka, con problemi psichici, ben conosciuto alle forze dell’ordine e alla magistratura e sottoposto a quotidiano obbligo di firma. L’uomo è anche in attesa di processo. La sua famiglia ha chiesto per lui un Tso, ma nessuno è intervenuto. «Non potevamo fare nulla, la legge ci impediva di espellerlo», ha commentato la pm Viviana Del Tedesco. L’indagine ordinata alla Polizia dal ministro dell’Interno Piantedosi ha messo in luce i punti del Codice da cancellare per avere mani libere ed espellere gli immigrati ritenuti pericolosi.
Riforma che ancora una volta parla alla pancia della gente, poiché nessuno vuole che un violento restilibero di muoversi indisturbato in Italia. Ma che cela un bluff: stanno vendendo all’opinione pubblica una nuova normativa sulle espulsioni paragonandoli ai rimpatri. Così non è perché, in assenza di accordi diplomatici con i Paesi d’origine, anche il migrante cui sia stato notificato il provvedimento, viene rimesso in libertà con un semplice foglio di via dopo la permanenza in un Cpr. Lo stesso Piantedosi ha ammesso che solo il 2 per cento di costoro poi effettivamente lascia il Paese. «E la sentenza 105 del 2001 della Consulta — osserva Gianfranco Schiavone dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione — stabilisce che in nessun caso l’accompagnamento coatto alla frontiera può essere svincolato dal controllo dell’autorità giudiziaria».
Col nuovo decreto sicurezza potranno sì aumentare gli espulsi, ma difficilmente si vedrà un aumento significativo dei rimpatri.
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