Migranti, la Geo Barents obbligata ad andare a La Spezia dopo un unico salvataggio

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 Il prezzo per aver salvato sessantanove persone è per l’ennesima volta un viaggio lungo cento ore di navigazione. A poche ore dal primo e unico salvataggio effettuato, a Geo Barents è stato ordinato di raggiungere “senza ritardo” La Spezia. Secondo l’Imrcc, il centro italiano di coordinamento e soccorso,  è l’unico porto sicuro per la nave umanitaria di Medici senza Frontiere, che  ha ricevuto istruzioni pochi istanti dopo aver comunicato l’intervento. E sono perentorie.

Nel corso della mattinata, le lance di salvataggio si Misf sono scese in acqua per soccorrere sessantanove persone intrappolate su un vecchio gommone stracarico che avanzava lentamente in acque internazionali davanti alla Libia. A bordo, ha fatto sapere l’equipaggio, c’erano anche nove donne e venticinque fra bambini e ragazzini, incluse due bimbe di soli cinque anni. Il report era stato appena inviato a tutte le autorità competenti – Libia, Italia, Malta – quando da Roma è arrivato l’ordine di far rotta su La Spezia. A più di quattro giorni di navigazione dalla attuale posizione della Geo Barents.

Identica sollecitudine e attenzione però non ha avuto il centro di coordinamento di Roma solo qualche ora prima, quando da Geo Barents hanno comunicato – persino sui social – le pesanti minacce ricevute dalla Guardia Costiera libica. L’equipaggio di Msf si stava avvicinando a un barchino in difficoltà, quando ad anticiparli è arrivata a tutta velocità una motovedetta. Fra i naufraghi si è scatenato il panico, qualcuno si è persino gettato in acqua pur di non farsi imprigionare dai libici e riportare nell’inferno di schiavitù, violenze, abusi e detenzioni arbitrarie da cui stava tentando di fuggire.

Tecnicamente, si tratta di un respingimento, vietato dalle leggi internazionali e duramente sanzionato dalla Corte di Giustizia europea. Ma inutilmente da Geo Barents hanno cercato un’interlocuzione con l’equipaggio libico.  Dai militari sono arrivati solo insulti. “State fuori dall’area, figli di troia. Allontanatevi o spariamo”. Dal ponte della nave umanitaria hanno segnalato persino la presenza di un uomo in mare, ma ogni possibilità di prestare soccorso è stata negata. “Apriamo il fuoco”, la risposta dei libici, condita di insulti.

Informazioni immediatamente rese pubbliche, ma su cui il centro di coordinamento e soccorso italiano ha ritenuto di non esprimersi. Quando, qualche ora dopo, Geo Barents ha effettuato il soccorso, a Roma sono stati invece lestissimi: “Andate a Livorno”.  Un ordine che sembra seguire un copione già testato dal governo Meloni, ancor prima dell’approvazione del recente decreto.  E ancora una volta l’unico porto disponibile sembra essere sempre e comunque quello più lontano, possibilmente in città amministrate dal centrosinistra.

Ufficialmente, si tratta di decisioni – insindacabili – necessarie per decongestionare gli approdi del Sud, nelle ultime settimane tuttavia svuotati dal maltempo che ha flagellato le coste. In realtà, in combinato disposto con il decreto che obbliga la flotta civile a comunicare immediatamente i soccorsi effettuati e alla prassi di concedere porto subito dopo,  una strategia per moltiplicare i costi delle missioni e prendere per fame le navi umanitarie, costrette a lunghissime e faticose traversate.

Non più tardi di qualche settimana fa, neanche una tempesta con onde di sei metri ha convinto Roma a concedere a  Geo Barents di Msf e Ocean Viking di Sos Méditerranée un approdo diverso da Ancona. Anche oggi il meteo non volge certo al sereno. E la traversata si preannuncia altrettanto lunga, accompagnata dalla medesima angoscia di allora: essere obbligati a lasciare la rotta più mortale del Mediterraneo, con la consapevolezza di essere in possesso dei mezzi e degli uomini per prestare soccorso.

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