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“Mio figlio è un assassino e voleva uccidere pure me. Ma sogno di riabbracciarlo il giorno in cui si pentirà”

BOLOGNA – “Era mio figlio, ma non era mio figlio”. Monica Marchioni è una madre sopravvissuta a tante cose. Alla sera del 15 aprile 2021, quando suo figlio, Alessandro Leon Asoli, tentò di ucciderla in casa a Casalecchio di Reno, nel Bolognese, con un piatto di penne al salmone avvelenate da nitrito di sodio, che lei non aveva finito di mangiare per il forte retrogusto di ammoniaca. Alla morte di suo marito, Loreno Grimandi, che invece quel piatto lo finì per non far dispiacere al figliastro. Al giovane che, sempre quella sera, cercò di soffocarla e di costringerla a bere il veleno, mentre lei era in preda ai dolori di stomaco e il marito ormai agonizzante a terra. E poi al processo, alla condanna in primo grado a 30 anni di un figlio che non solo si proclamava innocente, ma accusava lei di essere l’assassina del marito. Lunedì scorso, in sede d’Appello, c’è stato l’ultimo colpo di scena: Asoli ha confessato con queste parole: “Oggi voglio dire la verità. Sono stato io a fare quello di cui mi accusano”. Seduta al tavolino di un bar di Bologna, Monica Marchioni parla di come sta reagendo alla confessione. “Questo momento, forse, è per me il più difficile”.

Più difficile del 15 aprile 2021?
“Solo in senso lato. Quello è stato l’inferno, ho passato dieci giorni in rianimazione e, uscita dall’ospedale, non sapevo nemmeno se ero ancora viva. Oggi invece ho un percorso psicologico alle spalle. Ma è stato un vero choc, perché mi sono resa conto di una cosa che, in realtà, sapevo già, ma da cui avevo sempre cercato di proteggermi. Prima avevo come l’immagine che non fosse stato lui, anche se sapevo che era così, ma lo chiamavo “il ragazzo”. Invece ho dovuto accettare la realtà: era proprio mio figlio quella notte. Non era “il ragazzo”. Era mio figlio”.

Lei era presente in aula al momento della confessione?
“No, ero con la mia psicoterapeuta, aspettavo il verdetto e non mi sarei mai aspettata una cosa del genere. Mi ha chiamata il mio avvocato e mi ha detto di sedermi. In quel momento ho pensato: gli hanno dato l’ergastolo. E questo, paradossalmente, mi avrebbe fatto male. Anche se voglio che paghi”.

Sarebbe pronta a rivederlo?
“Al momento no. Si figuri che non riesco nemmeno a passare con l’auto vicino al carcere. Se per qualche motivo devo farlo, piuttosto faccio una strada molto più lunga per evitarlo”.

Quante volte lo ha visto, da quando è in carcere?
“Solo due, sempre in tribunale. La prima, lui non mi ha vista. La seconda, invece, i nostri sguardi si sono incrociati. E l’istinto è stato quello di abbracciarlo. Forte, fortissimo. Ho avuto un malore, perché volevo stringerlo ma sapevo che non era neanche giusto, soprattutto in quel momento in cui la vittima che era in me era ben più forte della mamma”.

E adesso?
“Adesso è una lotta tremenda, perché lui ha commesso un delitto assurdo, violento, premeditato, non ha agito d’impulso… E lo ha fatto solo per i soldi, per l’eredità. Io quegli occhi non me li dimentico. E non erano gli occhi di mio figlio. Il perdono è un percorso lungo, dovrei vedere proprio un suo vero cambiamento, non solo un pentimento. Ma io so che ora non c’è un ragazzo pentito. Se un giorno sapessi che si è pentito realmente, forse la prima cosa che farei sarebbe abbracciarlo. Perché mi manca tantissimo. Mi manca sentire il suo odore”.

Lo abbracciava spesso?
“Sì. Lui non era un coccolone, ma ogni tanto arrivava e io gli dicevo: “Aspetta che ti sniffo un po’”. Cose da mamme. Ho vissuto per lui, perché non gli mancasse niente, per me mio figlio veniva prima di tutto. Cantavamo spesso delle canzoni insieme”.

Ad esempio quali?
“Ci sono tre canzoni nella nostra vita. La prima è quella di Tiromancino che si intitola “Un amore grande in un tempo piccolo”, gliela dedicai quando era ancora bambino. Poi, quando è cresciuto, avevamo una canzone di Alain Clark, che si intitola “Father and Friend”. Parla di un padre e un figlio che sono uno l’orgoglio dell’altro. Io l’avevo tramutata come “Mamma e figlio”, la cantavamo insieme. E l’ultima, che è stata quella che gli ho dedicato al mio matrimonio, era “A te”, di Jovanotti. Eravamo io e lui”.

Questo rende ancora più incomprensibile il suo gesto.
“Ripeto, io so perché lo ha fatto. In quei mesi, aveva il cuore nero. E diceva sempre: “Io voglio il potere e i soldi”. Ho la speranza che, un domani, questo figlio possa aprire e rischiarare questo suo cuore nero”.



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